lunedì 16 dicembre 2013

Follie nell'era della rete

Caro Mr. Google (oh, mio unico lettore),

c'era una volta il tempo in cui era difficile trovare una risposta, anche solo sommaria, a ogni domanda. Oggi un'amica mi diceva di voler riprendere a suonare ma di non avere spartiti: la mia reazione istintiva e' stata "Google". La mia amica (che ha 10 anni piu' di me) mi ha ricordato che quando suonava lei tu non eri ancora nato, percio' non ci aveva pensato... Sara' che in effetti io ho continuato a cercare spartiti, ma in effetti penso innanzitutto a te come fonte di risposta a quasi ogni domanda: come si chiama l'attrice protagonista in quel bellissimo film di Cassavetes?, quella che ha lavorato anche con Woody Allen... aspetta, qual'era il titolo del film? Ma anche: quanto costano le cialde adatte alla mia macchinetta?, che tempo fara' domani?
In effetti non sei tu, sono tutti gli altri (nel mio piccolo anche io) che forniscono le risposte alle domande cui sanno rispondere: tu sei l'indice di quest'immensa enciclopedia umana. In un qualche modo tu "sei" internet, il collegamento tra tutti.

Mi torna in mente l'immenso Guzzanti, quando nel 1997, quando internet iniziava davvero ad avere un certo impatto su un gran numero di persone, diceva "Abborigeno, ma io e te... ma che sse dovemo di'?". Ridevamo noi, ma la verita' e' che io non ho davvero un contatto con le persone, ma con le cose che le persone sanno, il che e' molto diverso.

(Ogni volta che pubblico un post ricevo a stretto giro visite dagli Stati Uniti, dalla Russia, dalla Germania. Le visite dall'Italia - posto da cui sarebbe eventualmente piu' naurale riceverne dato che scrivo in italiano - arrivano piu' in la e forse sono addirittura persone vere che ci cascano per un motivo o per un altro... Certo fa una certa impressione pensare che i miei principali lettori siano in effetti dei software...)

Playlist del giorno

1. For you will burn your wings upon the sun [Black Tape for a Blue Girl]
2. Estranged [Guns 'n' Roses]
3. Wicked Game [Chris Isaac]
4. Love will tear us apart [Joy Division]
5. Capita [IG]
6. It's never over (hey Orpheus) [Arcade Fire]
7. Lifting shadows off a dream [Dream Theater]
8. With or without you [U2]
9. Damaged goods [Gang of Four]
10. Everybody hurts [REM]

venerdì 29 novembre 2013

Nick Cave & The bad seeds @ Auditorium "Parco della musica" - Roma

27 novembre 2013

L'auditorum "Parco della musica" di Roma e' il posto che piu' amo per ascoltare un bel concerto: pensato e costruito in modo tale che ogni suono arrivi perfetto all'orecchio dell'ascoltatore.
Il mio posto e' in alto, alla sinistra del palco; mi guardo intorno e mi accorgo che siamo diventati degli adulti, che anzi, io sono tra quelli che abbassano, e neanche poco, l'eta' media.

Ad aprire il concerto ci pensa una ragazza che suona una specie di fisarmonica e canta con grande energia; non viene molto ascoltata, c'e' brusio di sottofondo: ovviamente la gente e' tutta li' per Nick, ma lei non sembra farci caso.
La guardo e mi colpisce il movimento sinuoso del braccio destro, quello con cui cambia la dinamica: e' ipnotico, sembra che stia massaggiando lo strumento.
Alla lunga e' decisamente troppo auto-simile perche' la mia attenzione si mantenga viva: fortunatamente, proprio quando la noia e' a un soffio dal prendere il sopravvento, la ragazza dichiara "un ultimo brano e poi vi lascio a Nick" (applausi solo nel sentire il nome).
Terminato il fatidico ultimo brano esce di scena e i tecnici si mettono a perfezionare la strumentazione un'ultima volta: la chitarra-tenore Eastwood, il mandolino elettrico e l'inseparabile violino di Warren Ellis, il pianoforte di Nick, il basso di Martyn Casey, le tastiere di Conway Savage, le batterie di Barry Adamson e Jim Sclavunos, la gibson Memphis e un'acustica (che dalla mia posizione non riesco a distinguere) di George Vjestica.

Buio.

I semi cattivi salgono sul palco e la sala esplode; il re inchiostro, vestito rigorosamente in nero, si muove dinoccolato.
Apre il concerto "We know who u r" con la sua dolce pacatezza sognante, poi "Jubilee street". Ma il Nostro non puo' evidentemente accettare che il suo pubblico sia li', seduto sulle poltroncine di velluto, limitandosi a guardarlo mentre si muove su e giu' per il palco; cosi', nel crescendo del finale di "Jubilee street" scende d'impeto dal palco e tutt'a un tratto la gente si ricorda di quando aveva la cresta e il piercing al naso, si alzano tutti, corrono verso di lui per toccarlo, sollevarlo, avere un contatto animale con colui che del magnetismo animale ha fatto la sua bandiera. Risale nel tumulto sul palco in tempo per chiudere il brano: ormai il pubblico in platea e' in piedi, radunato sotto il palco, e Nick puo' finalmente permettersi un concerto come piace a lui.
Da questo momento il concerto assume una dimensione che non credo si sia mai vista in quel luogo: il re corvo nero, scatenato, ci spara "Tupeloo" e "Red right hand" direttamente dal fondo dello stomaco, dedica "Mermaids" a una donna che ha lasciato salire sul palco e lo abbraccia mentre lui canta; e poi ancora "The weeping song" e "From her to eternity": quest'ultima un vero turbine di potenza come se gli ultimi trent'anni si fossero volatilizzati. E poi ancora "West country girl" (``do you know that song?´´ chiede ``yeah´´rispondiamo ``do you know also the girl?´´, beh, conosciamo la sua voce sensuale e il suo modo -caldissimo- di suonare la chitarra, penso io). Mi commuovo.
Una pausa di respiro in cui lui, forse provato dal troppo correre su e giu', si siede al piano e domanda se c'e' qualcosa che vorremmo sentirgli suonare ``We are here for you´´ dice. Non riesco a sentire le richieste del pubblico quindi non so se lui le accontenta, ma suona "People ain't no good", "Sad waters" e "Into my arms" riempiendole di dolcezza.
Ha ripreso fiato e puo' rialzarsi, tornare sulla punta del palco a lasciarsi toccare; "Higgs boson blues" funge da ponte, "The mercy seat" e' di una potenza indescrivibile e "Stagger Lee" arriva a sorprendermi per la sua intensita': il colpo di pistola simulato alla batteria (per quanto atteso) ci fa saltare tutti.
Il corpo di Nick, cristo post-moderno, e' una reliquia da toccare, una calamita naturale per le mani di donne e uomini: il suo magnetismo animale e' senza confini.
I semi cattivi sono altrettanto magici con le loro intense barriere sonore, l'ottima sezione ritmica, il violino allucinato di Ellis. Chiudono con un'intensissima "Push the sky away" che mi fa letteralmente venire i brividi.

Pausa.
Ma il pubblico ne vuole ancora e lo reclama a gran voce.

Riemergono da dietro il palco e ci regalano "God is in the house", "Deanna", "Papa won't leave you, Henry" e il gran finale di inquietudine con "We real cool", cantata abbracciando un ragazzino che non credo abbia vent'anni.

Eccolo qui, un uomo di 56 anni energico, sensuale, brutale, dolce, intenso, emozionante, vivo, vivissimo.

lunedì 11 novembre 2013

Condominio - La vecchina dell'Euro

Inauguro oggi la rubrica "Condominio" in cui si cerca di analizzare gli aspetti e le dinamiche sociali di un agglomerato eterogeneo di persone che vivono a poca distanza tra loro secondo un insieme di leggi stabilite piu' o meno di comune accordo; l'intento e' quello di studiare tali aspetti su scala ridotta per poi tentare di estenderli a scala piu' ampia (una citta'?, una regione?, uno stato?, un continente?, questo pianeta?).

Innanzitutto penso sia necessario descrivere alcuni "tipi umani" e vorrei cominciare da uno dei primi con cui sono entrata in contatto quando mi sono trasferita, ovvero "La vecchina dell'Euro".

La vecchina dell'Euro e' (come il nome lascia presagire) una signora anziana, piccola, ingobbita dagli anni e dalle fatiche della vita. La si incontra per le scale mentre arranca in su o in giu' appoggiandosi con veemenza al corrimano per muovere ogni passo; le offri aiuto (un braccio cui appoggiarsi, una mano per portare una busta della spesa) e lei fiera e orgogliosa ti guarda dall'alto in basso e risponde "No, grazie, figurati, ce la faccio", muovendo un altro passo incerto lungo la scala a riprova della sua indipendenza. Poi abbassa la voce, si avvicina con fare complice e domanda "Che c'hai un Euro?". Ed eccola li', la sua fierezza, che in un lampo e' svanita.
Le prime volte rispondi di si', cerchi in tasca o nel portafogli, tiri fuori la moneta pesante e gliela porgi con un sorriso misto di pieta' e comprensione; lei sorride di rimando, ringrazia e aggiunge "Oh, non dirlo a nessuno, mi raccomando", e tu li' a immaginare l'imbarazzo di una signora anziana che non ha i soldi per comprare il pane e ne chiede a te, nuovo arrivato, perfetto sconosciuto (l'interazione e' cominciata con la domanda "Tu chi sei?" e l'immancabile risposta "Mi sono appena trasferita, abito all'ultimo piano", anche se e' la seconda o terza volta che accade: l'eta' spesso ha di questi tristi effetti collaterali).

Col passare del tempo ti accorgi che la domanda "Tu chi sei?" non viene piu' riproposta e lo prendi come il segno definitivo che e' tutto vero, che quella e' casa tua e che sei riconosciuto e accettato.
Al contrario la domanda "Che c'hai un Euro?" e' sempre li', adesso senza l'imbarazzato aggiungere "Non dirlo a nessuno": pone la fatidica domanda con una naturalezza impressionante.
Una volta pero' ti cade un'occhio alla busta della spesa, noti che contiene esclusivamente prodotti di marca e non riesci a non pensare che tu ti servi solo al discount perche' quell'Euro salvato al supermercato possa essere li' nella tua tasca quando serve di darlo a chi ha piu' fame di te.
Non vuoi pensare che la vecchina dell'Euro semplicemente stia facendo la "furba" ma ti e' inevitabile.

Comunque non riesci a fargliene una colpa: il fatto e' che ci si difende come si puo' e la vecchina dell'Euro non fa eccezione. Tutto sommato non sai veramente come stanno le cose per lei e l'unico reale cambiamento e' che ora il famoso Euro resta sempre piu' spesso nella tua tasca.




Addendum: Ho sentito l'ex inquilino per ragioni legate a volture di bollette (sembra non si finisca mai, ma non mi arrendo)  gli ho chiesto della vecchina dell'Euro. A quanto pare a lui e' capitato solo una volta, negli ultimi tempi... Appunto: non so come stanno le cose per la vecchina.

lunedì 4 novembre 2013

Playlist del giorno

01 - E' stata tua la colpa [E. Bennato]
02 - A chi succhia [Marlene Kuntz]
03 - Drove through ghosts to get here [65daysofstatic]
04 - Hated because of great qualities [Blonde Redhead]
05 - Should I stay or should I go [The Clash]
06 - Il Tradimento [Thegiornalisti]
07 - A prayer to God [Shellac]
08 - La distanza [P. Benvegnu']
09 - No surprises [Radiohead]
10 - Megalomania [Muse]

sabato 19 ottobre 2013

Marlene Kuntz: "La poesia della scienza" @ Teatro Palladium - Roma

18 ottobre 2013

Al Palladium, ogni romano che si rispetti non puo' ignorarlo, e' d'uso organizzare serate culturali di vario genere: quello di ieri sera era senz'altro adatto allo stile del posto.

Si tratta di uno spettacolo un po' particolare: Bergia, Godano e Tesio che "improvvisano" una colonna sonora per dei documentari di Jean Painlevé (granchi, meduse, cavallucci marini, transizioni di fase di metalli...) proiettati alle loro spalle.
Natura e musica che si fondono: arte.

Aiutati da registratori/riproduttori di suoni che gli permettono allungare le note fino allo spasmo, uno schermetto davanti a ciascuno di loro (immagino) per consentirgli di vedere il video che stanno musicando davanti ai nostri occhi.
Rumori, armonie, distorsioni, potenza e dolcezza: allucinazioni in apnea.
Letteralmente.
Chissa', forse un tempo le avremmo chiamate "Spore".
In una sincronia perfetta di suoni e immagini.
Anche troppo perfetta perche' si tratti di vera e propria improvvisazione: la dinamica e i ritmi, le esplosioni sonore e i rallentamenti, si accordano con una precisione impressionante alle immagini proiettate. No, e' impossibile che fosse tutto deciso all'impronta, certamente si erano dati delle linee guida, ma e' anche senz'altro vero che non e' tutto studiato a tavolino... e infatti a volte ci sono delle "sgradevolezze" (no, non delle belle dissonanze, proprio sgradevolezze!), note che chiaramente non sono quelle desiderate. Ma questo fa inevitabilmente parte dell'improvvisazione.

La batteria di Bergia e' completata da una serie di arnesi che non riesco a riconoscere tra cui una specie di mini-parete metallica bozzuta e uno strano gong bombato, tenuto in orizzontale, che produce note distinte a seconda di dove lo si percuote .
Godano ha portato la Stratocaster bianca e nera (in cui a un certo punto infila la solita bacchetta di batteria in puro "stile-sonica"), la LesPaul bianca e una chitarra acustica.
Tesio ha la Memphis blu e la LesPaul "left" rosso cupo: in assoluto le mie preferite del suo arsenale.

E come sempre e' proprio Tesio quello che osservo con maggiore attenzione (figli e figliastri... ma vabbeh, ciascuno ha diritto alle sue preferenze, o no?) quando le immagini non prendono il sopravvento sulla mia attenzione.
Usa la Memphis (standard) in quasi tutte le scene subacquee (granchi, alghe, cavallucci marini) e la LesPaul (CGCGGC) per meduse e transizioni di fase: scelta interessante e particolarmente azzeccata dal punto di vista sonoro.
Ed e' sempre un piacere guardarlo suonare.
Ogni volta mi ricordo perche' e' il mio chitarrista di riferimento: il movimento della sua mano destra e' sinuoso, assurdo, ipnotico... Ha una padronanza pazzesca dello strumento e dei suoi suoni, sceglie le note e (soprattutto) le pennate con maestria ed eleganza: al solito, rimango incantata.

Se mai i tre cuneesi dovessero decidere di riproporlo, consiglio vivamente di andare a gustarselo.

martedì 1 ottobre 2013

Marlene Kuntz - Nella tua luce [2013]

L'immagine di copertina ha un che di ironico e poetico allo stesso tempo, se si pensa al titolo dell'album: un portico scuro, una luce (estremamente flebile) che filtra da un arco quel tanto che basta dal lasciar intravedere le forme e il colore marrone dei muri. Il nome della band e il titolo dell'album al centro, in bianco luccicante.

play.

Tempo fa ho formulato una teoria sul percorso artistico dei MK: un album che annusa un territorio inesplorato, uno che lo esplora a fondo, uno che ne esalta ogni dettaglio.
E via da capo (a parte un'eccezione).
"Catartica" e "Che cosa vedi" erano album in cui la band cuneese tentava qualcosa che nessuno (loro in primis) aveva mai provato prima; "Il vile" e "Senza peso" si muovevano nella direzione dei loro diretti predecessori discostandosene quel tanto che bastava per definirli evoluzioni naturali; "Ho ucciso paranoia" e "Bianco sporco" erano la summa, il gioiellino, cio' che dava senso e compiutezza ai due lavori immediatamente precedenti.
Ora siamo arrivati al punto due di una nuova terna: "Ricoveri virtuali e sexy solitudini" non e' certo la prosecuzione naturale di "Uno" (album-esperimento che sarebbe stato impossibile incasellare in qualsivoglia schema esplorativo) mentre questo nuovo "Nella tua luce" sembra voler seguire la strada intrapresa tre anni fa.

Qui non si ha a che fare con il pugno in faccia che fu il primo trittico ne' con la poesia che fu il secondo: questo e' rock. Punto. Rock rinnovato, moderno, elegante e ben fatto, nessun dubbio a riguardo.
I suoni sono carichi, intensi, avvolgenti, puri e sporchi allo stesso tempo; c'e' dentro tutta la loro calda sensualita' (inevitabile marchio di fabbrica), la dolcezza e il vigore di uomini adulti che, pur avendo trovato risposte, non smettono di porsi domande sempre nuove.
E si', penso che "sensualità" sia la parola chiave, come sempre e' accaduto con Marlene: da principio la sensualita' animale e selvaggia dei giovani, poi quella poetica dei quarantenni, ora quella matura e consapevole di tre uomini che forse cominciano a sentire la soglia dei cinquant'anni avvicinarsi... ma quanta meraviglia in questa consapevolezza!
Passano gli anni, il mondo evolve, i musicisti e gli ascoltatori pure. Ma il rock dei Marlene Kuntz e' sempre li', palpabile, fisico. Anche quando questa fisicita' assume connotati necessariamente (fortunatamente!) diversi rimane, incontestabilmente, fisicita'.

Alcuni passaggi, devo confessarlo, mi pare di averli gia' sentiti all'interno della loro produzione quasi (argh!) ventennale; piccole somiglianze, echi di ricordi nebbiosi e poco piu', ma penso sia normale: un autore che si rispetti mette se' stesso in ogni nota, e per quanto si possa crescere o evolvere, un essere umano rimane (sempre) piu' o meno se' stesso.
Nell'ascolto riesco a vedere il braccio destro teso e rigido di Godano che picchia nervoso sulle corde della chitarra, i colpi potenti -tempo e controtempo- di Bergia con la loro danza a/simmetrica, le mani morbide ed eleganti di Tesio (qui gioca anche a tratti con il basso) che con i loro movimenti su e giu' sulle corde impreziosiscono e danno quell'impronta 'marlenica' inconfondibile.

Cosa manca per farne un grande album? Sicuramente qualcosa, ma se vogliamo dar credito alla mia teoria, questo qualcosa sara' nel prossimo...

E come al solito attendo con impazienza di risentirli dal vivo, da sempre la loro dimensione naturale, quella in cui riescono a dare tutto, incantare completamente, far battere il cuore a ritmo.


Lista delle tracce:

Nella tua luce
Il genio (l'importanza di essere Oscar Wilde)
Catastrofe
Osja, amore mio
Seduzione
Adele
Su quelle sponde
Giacomo eremita
Senza rete
La tua giornata magnifica
Solstizio

sabato 21 settembre 2013

Mick Harvey - Four (Acts of Love) [2013]

L'immagine in copertina da un senso di infinito: notte, in basso le cime di alcuni alberi scuri, e un immensa nebulosa -colorata come come sulle riviste di astronomia- che sovrasta il tutto.

Play.

Un album concettuale, brani inestricabilmente legati l'uno all'altro, che spesso si fondono l'uno nell'altro quasi senza soluzione di continuita'. Un discorso ben congegnato, strutturato, proposto all'orecchio dell'ascoltatore con sapienza: l'ex seme cattivo, al suo sesto album solista (secondo dopo il "divorzio" da Nick Cave) ci parla d'amore. Ma a differenza del suo disincantato e tormentato ex collaboratore (si veda Push the Sky away - Nick Cave and the Bad Seeds), qui c'e' una dolcezza delicata, semmai rassegnata, eppure rassicurante anche nella malinconia: se l'amore secondo Nick e' una passione struggente che puo' facilmente diventare un incubo allucinato, quello secondo Mick non riesce mai ad arrivare alla perversione.
Inevitabile fare paragoni tra i due album che sembrano l'uno il completamento dell'altro anche dal punto di vista stilistico: del resto i due autori hanno lavorato assieme per vent'anni ed era inevitabile che parte dell'uno sopravvivesse nell'altro. Piu' (inevitabilmente) chitarristico questo, piu' minimalista quello, ma la parentela e' innegabilmente forte.
Le tracce sono divise in tre movimenti (essendo il quarto l'album completo?), parecchie cover riarrangiate fino ad essere irriconoscibili (a parte "Glorious" dell'amica PJ Harvey di cui mai si e' sentita la versione dell'autrice). Un viaggio circolare nella mente e nel cuore dell'autore e forse anche di chi lo vuole ascoltare.


Lista delle tracce:

Praise the Earth (wheels of amber and gold)
Glorious
Midnight on the ramparts
Summertime in New York
Where there's smoke (before)
God made the hammer
I wish that I were stone
The way young lovers do
A drop, an ocean
The story of love
Where there's smoke (after)
Wild hearts
Fairy dust
Praise the Earth (An ephemeral play)

martedì 20 agosto 2013

Playlist del giorno

01 - 2 rights make 1 wrong [Mogwai]
02 - All apologies [Sinead O' Connor (Nirvana cover)]
03 - How to disappear completely [Radiohead]
04 - Diamo tempo al tempo [Thegiornalisti]
05 - Il finale [Baustelle]
06 - Miss you [The Rapture]
07 - If you wanna [The Vaccines]
08 - Nel silenzio [P. Benvegnu' (versione 500)]
09 - ...like clockwork [Queens of the Stone Age]
10 - Push the sky away [Nick Cave & The Bad Seeds]

sabato 20 luglio 2013

Thegiornalisti - Vecchio [2012]

L'album che ho comprato quella sera del concerto a testaccio, ascoltato, riascoltato, lasciato li' sotto la lingua per convincermi di averne sentito bene il sapore.
In copertina c'e' un giardino trascurato dal sapore antico, al centro una statua di Garibaldi ti guarda un po' di traverso.

Play.

Strana miscela, non c'e' che dire: ci sta dentro l'energia del punk (suonato rigorosamente con chitarracce di seconda mano o che suonano come tali), ma anche l'armonia tipica delle canzoni all'italiana degli anni sessanta/settanta (Battisti la fa da padrone), il tutto condito con quel pizzico di Rock&Roll ortodosso e quella punta di blues d'altri tempi che non guastano mai. Ma c'e' anche qualcos'altro, qualcosa che prima non c'era e adesso c'e'.
I passaggi armonici sono raramente banali, i ritmi ti fregano spesso e volentieri, il cantato e' intenso e urgente, i testi (auto?)ironici al punto giusto. Confermo la sensazione che questi ragazzi non si prendano troppo sul serio, eppure sono capaci di creare delle immagini sonore davvero importanti: s'impongono all'attenzione dell'ascoltatore stuzzicandone l'orecchio, dandogli a tratti quello che vuole per poi sottrarglielo all'improvviso.

Forse, o almeno per come la vedo io, devono ancora crescere dal punto di vista dell'intensita' emotiva: non che manchi, ma e' ancora acerba (so' gggiovani). D'altra parte se continuano in questa direzione penso che ci si possa aspettare grandi cose.
Insomma, una scoperta interessante: sono curiosa di seguirne gli sviluppi.



Lista delle tracce:

La tua pelle e' una bottiglia che parla e se non parla vado fuori di me
Il tradimento
Pioggia nel cuore
Una domenica fuori porta
Diamo tempo al tempo
Guido cosi'
Cinema
Vecchio
I gatti
Bere
E che ci vuoi fare
Nato con te

martedì 16 luglio 2013

Nick Cave & The Bad Seeds - Push the sky away [2013]

La copertina e' in bianco e nero, il nome della band e il titolo dell'album sono scritti con i caratteri di una vecchia machina da scrivere. Il fondo e' quello di una parete con tre porte-finestre da cui filtra una luce quasi abbagliante, salvifica. Nick, con indosso un vestito nero da cui fuoriesce il colletto bianco della camicia, tiene aperta la porta-finestra sulla sinistra. Una donna completamente nuda si muove in punta di piedi nella sua direzione. Ha la testa china (la donna) e i capelli nerissimi le coprono il viso: le mani le scompaiono sotto la chioma corvina, ma la sensazione e' che siano li' a coprire delle lacrime. Il modo in cui lui tiene aperta la porta-finestra e' un invito perentorio e definitivo:  vuole far uscire la donna, la sta mandando via.

Play.

Il pensiero che viene subito, al primo ascolto, e' che si tratta di un album molto vicino a "The Boatman's Call", uno dei miei preferiti del Re Inchiostro: intimo, dolce, malinconico, forse autoreferenziale, toccante ("and some people say it's just rock and roll/ah, but it gets you right down to your soul"… se lo dice da solo, ma direi che ha ragione, almeno per quanto mi riguarda).

Ogni canzone e' segnata da poche manciate di accordi, la batteria e' un soffio, il piano appena accennato, le chitarre bisbigliano: tappeti sonori per la voce di Nick che arriva dalla fine del mondo e ti rovescia addosso tutto quello che ha accumulato nei suoi (quasi) 56 anni di vita. Ballate elementari, allucinazioni claustrofobiche, ricordi piu' o meno lontani che si affacciano prepotenti, e ancora immagini, e ancora musica.

Ad aprire le danze ci pensa 'We no who u r' morbida e sognante, elementare nella sua dolcezza leggermente sporca, rilassante, pervasa da una specie di speranza pacata e rassegnata allo stesso tempo.
Poi 'Wide lovely eyes' eterea, soffusa, delicata sebbene la chitarra ossessiva di sottofondo lasci una specie di amaro in bocca come di qualcosa che non ci viene detto, ma dopo un po' neanche si nota piu': diventa semplicemente un sostituto vagamene armonico della batteria.
Iniziamo a rilassarci e cosi', senza preavviso, parte l'incubo allucinato di 'Water's edge' con la sua imposta freddezza cupa e amara, gli archi di Ellis che fanno da contrappunto ipnotico.
Se ne esce (ma neanche troppo) con 'Jubilee street' e il suo arpeggio a meta' strada tra la dolcezza e il disgusto: un crescendo lento e inesorabile in cui si resta invischiati senza rendersene conto.
Per riprendersi davvero bisogna arrivare a 'Mermaids' che ritorna alla dolcezza, l'amplifica e fa salire un sorriso mesto: echi della splendida 'Song to the siren' di Tim Buckley qua e la'.
Dopo aver preso questa boccata d'aria ci reimmergiamo nell'angoscia con 'We real cool', ma stavolta e' con toni ancor piu' malinconici, rassegnati e definitivi.
E poi un'altro sogno allucinato in 'Finishing Jubilee street', con una chitarra che ripete ossessivamente lo stesso arpeggio asimmetrico incurante di quel che le succede attorno.
Arriviamo cosi' all'intensa 'Higgs boson blues' dai toni caldi e suadenti, il nostro che sporca la voce apposta all'occorrenza; un blues post-moderno in piena regola che s'insinua nelle vene crescendo in modo impercettibile per poi calare improvvisamente, riesplodere in tutta la sua potenza e calmarsi (di nuovo all'improvviso) solo nel finale: (quasi) otto minuti e non riesci a credere che siano passati cosi' in
fretta.
Conclude la traccia-titolo, il gran finale; arriva dritta allo stomaco, nella sua delicatezza e' un pugno ben assestato sui nervi scoperti che ciascuno di noi ha: minimalista e totale. La prima volta ti entra dentro, la seconda ti scuote le budella, la terza ti fa piangere, la quarta cominci ad odiare l'autore per averti colpito cosi' bene, la quinta capisci che e' tua, la sesta e' gia' troppo tardi: non potrai mai piu' dimenticarla.

E tra le pieghe armoniche, nascoste tra le parole, si riescono a scorgere figure di donne (tante, diverse, ma forse e' sempre la stessa immagine). Donne che non si riescono a perdonare, donne da amare, donne-bambine da guardare di nascosto, donne da scopare, donne da adorare, donne da proteggere, donne da sognare, donne con cui fare l'amore dolcemente, donne (infine) da spingere via, da allontanare, perche' fa troppo male tenersi dentro i loro fantasmi.

Nick e' vivo, vivissimo, e di questo non possiamo che essere felici.


Lista delle tracce:

We no who u r
Wide lovely eyes
Water's edge
Jubilee street
Mermaids
We real cool
Finishing jubilee street
Higgs boson blues
Push the sky away

sabato 13 luglio 2013

Sogno

(Il sogno di questa notte mi ha colpita: magari ai lettori di passaggio non gliene frega niente ma tant'e'...)


Sono su una nave per andare in Sardegna.
Con me altre persone (mia sorella, mia mamma... ma non sono loro).

Mentre stiamo avvicinandoci ad Olbia vedo che da un bagno esce dell'acqua: c'e' un buco in una tubatura.
Invece di sistemare la tubatura come sarebbe sensato, il personale di bordo, preso dal panico, inizia ad evacuare la nave.

Io sono tra i primi, con mia sorella, ad essere messa su una mini scialuppa di salvataggio con un salvagente addosso.
Cerco di dire che il salvagente non mi serve, che potrei arrivare a riva nuotando (e' davvero a pochissime bracciate di distanza): che si occupino piuttosto di salvare la mia valigia se proprio non vogliono salvare la nave... ma niente: nella loro ottusita' mi obbligano a fare come dicono.

Una volta a riva vedo la nave che affonda lentamente.
Siamo tutti in salvo, nessuna tragedia, ma mi rode perche' avrebbero potuto salvare anche la nave o le valigie e non l'hanno fatto: tutti i passeggeri hanno raggiunto la terraferma, la nave e' ancora li' e nessuno fa niente.

Penso siano dei peracottari, perche' se avessero fatto le cose per bene la nave non starebbe affondando, o almeno i bagagli sarebbero in salvo.
Dico ad alta voce a mia sorella che pretendero' un risarcimento di almeno tremila euro per la loro idiozia e incompetenza.

(Il significato di questo sogno mi e' del tutto evidente ma chissa', magari mi sbaglio: magari qualcuno da fuori puo' farmi vedere le cose da un'angolazione cui non avevo pensato...)

domenica 16 giugno 2013

Ancien Régime + Thegiornalisti + Diaframma @ Città dell'altra Economia - Roma

15 giugno 2013

Testaccio, sera d'estate (finalmente). Un palco all'aperto: uno stand di birre e un banchetto dei radicali (sic) a fare da cornice. Arrivo presto e trovo posto in prima fila.

Ancien Régime.
Quattro giovanotti vestiti di nero, ciuffi davanti agli occhi, suonano una specie di new wave un po' melodica. Il batterista picchia duro, il bassista-cantante ha la voce profonda che a tratti evoca Ian Curtis, il chitarrista sembra perso in un mondo tutto suo (ma c'è, e si sente), il tastierista è la colonna portante delle melodie. Bravi, niente da dire. A volergli muovere una critica, ecco, forse un po' troppo legati all'ortodossia degli anni ottanta ma chissà, danno la sensazione di poter evolvere: una piacevole scoperta.

Thegiornalisti.
Non sembrano prendersi sul serio il che li rende subito simpatici. La stratocaster rosa con decorazioni dorate del cantante sembra uscita dal sogno di una bambina delle elementari cui piacciono le fate, il batterista ha l'aria da cucciolo sperduto ed è spontaneo domandarsi se abbia raggiunto la maggior'età, i baffetti del chitarrista ricordano a tratti quelli di Freddy Mercury, il bassista si diverte. Poi cominciano a suonare ed è magia: energici, potenti ma senza perdere la poesia e l'ironia. Al terzo/quarto brano (non ricordo) il cantante chiama "Fede" ed ecco, arriva Fiumani a cantare con loro un brano dal sapore punk. E poi ancora il loro bel rock. Sono colpita: sembrano avere un'urgenza espressiva incontenibile. A fine serata comprerò il loro disco: si sono guadagnati la mia attenzione.

Diaframma.
Fiumani è un gigante, un mostro sacro. Cinquantatre anni e non sentirli: ha un'energia pazzesca che ti arriva in faccia come un pugno tirato bene. Apre il concerto con Siberia (colpo al cuore, ma era inevitabile) poi si susseguono capolavori vecchi e nuovi in bella alternanza: Elena, Labbra blu, Fiore non sentirti sola, Io sto con te ma amo un'altra, Verde, Diamante grezzo, I giorni dell'ira, Madre superiora... tanto per citarne qualcuno. Saltella sul palco come avesse trent'anni (anche meno...) suona la chitarra come se ne avesse bisogno per dare un senso al tutto, grida nel microfono e ti fa venire la pelle d'oca. La sua è un'anima punk-elegante e se ne rende conto con un pizzico di ironia ("non come i Litfiba che sono dei tamarri da sempre, fin dai tempi di 17re..." dirà lo stesso Fiumani a un certo punto ridendo). E' commovente rendersi conto che certe cose non possono morire mai.

sabato 23 marzo 2013

Dentro un film

Gli USA (che poi in italiano verrebbe SUA, cosa che a un romano fa subito venire in mente di anteporre un bel "mortacci") sono spaventosamente simili a come li vediamo nei film.

Ritrovarsi a un tipico barbecue, nel giardino di una tipica villetta dotata di casetta sull'albero; mangiare un tipico hamburger al bancone di un tipico pub che trasmette la partita di basket sullo schermo; passeggiare per il tipico campus universitario, passando accanto al campo da baseball o agli edifici delle confraternite con le tipiche tre lettere greche maiuscole incise sopra la porta... tutte esperienze che da oltreoceano abbiamo visto milioni e milioni di volte sugli schermi, tanto che in un certo senso ci sembrano familiari.

Pero' poi a starci dentro hai la sensazione che non sei tu, che non e' vita vera, che stavolta il 3D l'hanno fatto davvero bene e vediamo un po' come finisce sto film...

(certo che e' lungo un film che dura quindici giorni...)

venerdì 1 marzo 2013

Elezioni - Febbraio 2013

(ricevo e pubblico con un ghigno)




Insomma, mi sembra un buon risultato, tutti felici:

Grillo voleva vincere ed ha vinto;
Berlusconi non voleva perdere, e non ha perso;
Bersani non voleva vincere, e non ha vinto;
Monti voleva stare sulle palle a tutti, e c'e' riuscito.

Per una volta, ognuno ha avuto quello che voleva...


(...quattro mani, occhei, ma qui mi pare che son solo due...)

lunedì 25 febbraio 2013

Playlist del giorno

01 - First wave intact [The secret machines]
02 - Dear catastrophe waitress [Belle & Sebastian]
03 - She's lost control [Joy division]
04 - Io ho visto [P. Benvegnu']
05 - A song for our fathers [Explosions in the sky]
06 - Amen [Marlene Kuntz]
07 - Tostaky (le continent) [Noir desire]
08 - Amsterdam [Diaframma]
09 - Candle [Sonic Youth]
10 - Re del silenzio [Litfiba]
11 - Pink love [Blonde redhead]
12 - If it was me [I love you but I've chosen darkness]

domenica 13 gennaio 2013

La pagina bianca

Ansia da pagina bianca per le prime parole da scrivere e pubblicare: che poi a pensarci e' anche un po' ridicolo dato che probabilmente passeranno semi-inosservate.
Negli ultimi anni la quantita' d'informazione e' aumentata in modo impressionante, e questo perche' la possibilita' di registrare informazioni e' arrivata a un numero enorme di persone... e ovviamente tutti pensiamo di aver cose interessantissime da dire. D'altra parte ad un aumento cosi' significativo d'informazione non corrisponde necessariamente l'aumento delle persone che effettivamente acquisiscono l'informazione. Inoltre un tale esubero d'informazione ne implica necessariamente la dispersione: e' logico, siamo gocce nel mare...

E io?, cosa avro' mai da dire io? "Niente", mi rispondo, ma intanto sono qui che scrivo. Penso che capiro' cosa scrivere man mano che scrivero'...