venerdì 29 novembre 2013

Nick Cave & The bad seeds @ Auditorium "Parco della musica" - Roma

27 novembre 2013

L'auditorum "Parco della musica" di Roma e' il posto che piu' amo per ascoltare un bel concerto: pensato e costruito in modo tale che ogni suono arrivi perfetto all'orecchio dell'ascoltatore.
Il mio posto e' in alto, alla sinistra del palco; mi guardo intorno e mi accorgo che siamo diventati degli adulti, che anzi, io sono tra quelli che abbassano, e neanche poco, l'eta' media.

Ad aprire il concerto ci pensa una ragazza che suona una specie di fisarmonica e canta con grande energia; non viene molto ascoltata, c'e' brusio di sottofondo: ovviamente la gente e' tutta li' per Nick, ma lei non sembra farci caso.
La guardo e mi colpisce il movimento sinuoso del braccio destro, quello con cui cambia la dinamica: e' ipnotico, sembra che stia massaggiando lo strumento.
Alla lunga e' decisamente troppo auto-simile perche' la mia attenzione si mantenga viva: fortunatamente, proprio quando la noia e' a un soffio dal prendere il sopravvento, la ragazza dichiara "un ultimo brano e poi vi lascio a Nick" (applausi solo nel sentire il nome).
Terminato il fatidico ultimo brano esce di scena e i tecnici si mettono a perfezionare la strumentazione un'ultima volta: la chitarra-tenore Eastwood, il mandolino elettrico e l'inseparabile violino di Warren Ellis, il pianoforte di Nick, il basso di Martyn Casey, le tastiere di Conway Savage, le batterie di Barry Adamson e Jim Sclavunos, la gibson Memphis e un'acustica (che dalla mia posizione non riesco a distinguere) di George Vjestica.

Buio.

I semi cattivi salgono sul palco e la sala esplode; il re inchiostro, vestito rigorosamente in nero, si muove dinoccolato.
Apre il concerto "We know who u r" con la sua dolce pacatezza sognante, poi "Jubilee street". Ma il Nostro non puo' evidentemente accettare che il suo pubblico sia li', seduto sulle poltroncine di velluto, limitandosi a guardarlo mentre si muove su e giu' per il palco; cosi', nel crescendo del finale di "Jubilee street" scende d'impeto dal palco e tutt'a un tratto la gente si ricorda di quando aveva la cresta e il piercing al naso, si alzano tutti, corrono verso di lui per toccarlo, sollevarlo, avere un contatto animale con colui che del magnetismo animale ha fatto la sua bandiera. Risale nel tumulto sul palco in tempo per chiudere il brano: ormai il pubblico in platea e' in piedi, radunato sotto il palco, e Nick puo' finalmente permettersi un concerto come piace a lui.
Da questo momento il concerto assume una dimensione che non credo si sia mai vista in quel luogo: il re corvo nero, scatenato, ci spara "Tupeloo" e "Red right hand" direttamente dal fondo dello stomaco, dedica "Mermaids" a una donna che ha lasciato salire sul palco e lo abbraccia mentre lui canta; e poi ancora "The weeping song" e "From her to eternity": quest'ultima un vero turbine di potenza come se gli ultimi trent'anni si fossero volatilizzati. E poi ancora "West country girl" (``do you know that song?´´ chiede ``yeah´´rispondiamo ``do you know also the girl?´´, beh, conosciamo la sua voce sensuale e il suo modo -caldissimo- di suonare la chitarra, penso io). Mi commuovo.
Una pausa di respiro in cui lui, forse provato dal troppo correre su e giu', si siede al piano e domanda se c'e' qualcosa che vorremmo sentirgli suonare ``We are here for you´´ dice. Non riesco a sentire le richieste del pubblico quindi non so se lui le accontenta, ma suona "People ain't no good", "Sad waters" e "Into my arms" riempiendole di dolcezza.
Ha ripreso fiato e puo' rialzarsi, tornare sulla punta del palco a lasciarsi toccare; "Higgs boson blues" funge da ponte, "The mercy seat" e' di una potenza indescrivibile e "Stagger Lee" arriva a sorprendermi per la sua intensita': il colpo di pistola simulato alla batteria (per quanto atteso) ci fa saltare tutti.
Il corpo di Nick, cristo post-moderno, e' una reliquia da toccare, una calamita naturale per le mani di donne e uomini: il suo magnetismo animale e' senza confini.
I semi cattivi sono altrettanto magici con le loro intense barriere sonore, l'ottima sezione ritmica, il violino allucinato di Ellis. Chiudono con un'intensissima "Push the sky away" che mi fa letteralmente venire i brividi.

Pausa.
Ma il pubblico ne vuole ancora e lo reclama a gran voce.

Riemergono da dietro il palco e ci regalano "God is in the house", "Deanna", "Papa won't leave you, Henry" e il gran finale di inquietudine con "We real cool", cantata abbracciando un ragazzino che non credo abbia vent'anni.

Eccolo qui, un uomo di 56 anni energico, sensuale, brutale, dolce, intenso, emozionante, vivo, vivissimo.

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