lunedì 29 febbraio 2016

...o son desta?

Avete mai provato l'esperienza di un sogno lucido?, a me e' capitato questa notte.
Una volta, una vita fa, ho gia' raccontato un mio sogno su queste pagine virtuali e non ero sicura di volerlo fare di nuovo, ma per il primo sogno lucido si fa eccezione...

Sono a scuola, in quinto superiore, uno dei primi giorni dell'anno scolastico, seduta al mio posto chiacchiero con V., la mia storica compagna di banco, in attesa che cominci la lezione.

Interludio.
V. era bravissima, una delle piu' brave della classe, seria, sempre sul pezzo, animo letterario, amava il francese e il latino mentre soffriva un po' in matematica e fisica, ma mai abbastanza da prendere un'insufficienza; io invece all'epoca ero un vero disastro e facilmente chiunque avrebbe scommesso su un percorso di studi universitari malandato (se esistente) finito chissa' in quanto tempo e certamente con scarsi risultati... beh, quasi: qualcuno sospettava che sarebbe potuta bastare una scintilla per farmi correre, e alla fine del quinto, dopo il primo incontro col calcolo infinitesimale, piu' di qualcuno aveva cominciato a ricredersi sul mio conto.
Con V. ci volevamo molto bene nonostante apparissimo tanto diverse, e per un po' eravamo rimaste in contatto anche dopo la fine delle superiori, poi lei ebbe un serio problema psicologico che le impediva di trovarsi fuori di casa e alla lunga ci siamo perse; ogni tanto mi domando cosa ne sia stato di lei ma non saprei neanche piu' come contattarla.
Fine dell'interludio.

Siamo sedute dunque, deve arrivare l'insegnante di mantematica; V. riguarda la lezione del giorno prima, la definizione di limite, e li' capisco: e' un sogno!, e' sicuramente un sogno!
Non posso trattenermi: all'epoca condividevamo tutto.
"V. sto sognando, questo e' un sogno!"
Lei mi guarda scettica.
"Come fai a dirlo?"
"Perche' io non vado a scuola: ho trentadue anni e la matematica e' il mio lavoro!"
"In che senso?"
"Io sono una matematica, faccio ricerca e insegno all'universita', ho insegnato il concetto di limite una quantita' incalcolabile di volte... questo e' sicuramente un sogno!"
"Tu sei cosa???"
"Si', sono una postdoc, vivo in Canada e tra cinque mesi andro' ad Atlanta..."
"E io?"
Silenzio.
Sono in difficolta'.
Non voglio dirle del crollo psicologico, lei e' la V. diciottenne del quinto superiore, in questo momento il suo problema e' ancora in fase embrionale, una cosa da venire: vorrei poterle dire solo cose bellissime, vorrei non essere stata io quella fortunata, e di certo non voglio spaventarla o ferirla riguardo il suo futuro...
"Non lo so: dopo un po' ci siamo perse di vista..."
Vedo che vorrebbe chiedermi altro ma nel mentre arriva (in mio soccorso) la professoressa che ci sgrida perche' stiamo chiacchierando: e' una sconosciuta, il mio professore di matematica del quinto era (appunto) un professore, non una professoressa.
"Scusi professoressa" dico "stavamo discutendo della lezione scorsa"
Non voglio far sapere agli altri che e' un sogno.
"E che discutevate esattamente?" chiede con un sorrisetto beffardo pensando di mettermi in difficolta'.
"Stavamo vedendo che dalla definizione di limite, usando la proprieta' triangolare del modulo, segue che il limite della somma e' la somma dei limiti: vuole che glielo faccio vedere?"
La sconosciuta e i compagni mi guardano sbalorditi, V. mi sorride e io le faccio l'occhiolino.

E' stata un'esperienza incredibile: era tutto verissimo, ero io a parlare, a pensare, io con tutto il mio essere pensante... a questo punto bisogna imparare a controllare il sogno!

lunedì 15 febbraio 2016

The Cure - Disintegration [1989]

A quanto pare questo e' il periodo dell'anno in cui mi ritrovo ad aver voglia di guardarmi indietro; l'inverno e' a meta' del suo percorso, bisogna avvolgersi in una calda coperta e aspettare che ritorni aprile e le allergie...

Ombre confuse di oscuri fiori psichedelici: il grosso dell'immagine e' scuro, appaiono poche macchie vagamente colorate. Dai fiori emerge, in gelido riflesso verde-azzurrognolo il volto di un uomo, forse un fantasma, con gli occhi contornati di ombretto nero e le labbra ripassate da un rossetto sanguigno. Il nome del gruppo e il titolo dell'album sono in alto, lievemente squilibrati verso il lato destro, scritti uno di fianco all'altro in un rosso scarlatto che appare come usurato.

Play.

Ci vuole una certa dose di sbruffoneria per scrivere di "Disintegration" a venticinque anni dalla sua uscita, ma si sa che la sbruffoneria non mi manca.
Temo pero' di dover cominciare con una confessione, a orecchie basse e capo cosparso di cenere.

Il mio primo incontro con i Cure avvenne nell'autunno del millenovecentonovantasette, all'inizio del secondo liceo; ero stata presentata ad un tipo, un bassista in cerca di chitarrista e/o cantante per il suo gruppo, come possibile candidata al ruolo. Quella formazione ebbe vita brevissima, il tastierista e il batterista svanirono nel giro di pochi incontri e rimanemmo il bassista ed io; in seguito incontrammo (fortunatamente in breve tempo) un altro batterista e fu l'inizio di un'avventura buffa e meravigliosa che restera' per sempre nel mio cuore, ma questa e' un'altra storia, e si dovra' raccontare un'altra volta.
Ora. Ovviamente la prima cosa che si fa quando si comincia a suonare con qualcuno che non si conosce e' scambiarsi compilazioni, in modo da avere un'idea di che musica risuona nel cuore dell'altro. Io all'epoca ero in fase hard-rock: ebbene si', se avevano i capelloni cotonati, suonavano su un'ibanez spigolosa, erano ricoperti di borchie e indossavano calzoni di pelle nera attillati, verosimilmente li ascoltavo. Il mio amico no, lui era avanti, ed esordi' con una cassetta frusciante contenente Eroi nel vento, Festa mesta, Sonica, Nuotando nell'aria, Lieve, Male di miele, Voglio una pelle splendida, Curami, Spara Juri, Matrilineare, Millenni, Girasole, Lumière Blanche, New year's day, She's lost control, Disorder... insomma, aveva capito tutto. Non credo che lo sappia, temo che il mio proverbiale orgoglio mi abbia impedito di dirglielo, ma la mia vita di ascoltatrice cambio' quel giorno... vabbeh, ora che lo sai pero' non tirartela!
Poco dopo mi presto' "Pornography", voleva che io imparassi a cantare l'apripista ovvero, per chi non lo sapesse, One hundred years.
E non mi piacque.
La voce di Smith era irriproducibile, la batteria troppo rigida, la chitarra tutta sbagliata...
Avevo quindici anni.
E decisamente non capivo un cazzo.

Tempo dopo, due o tre anni per la precisione, quando ormai il mio orecchio aveva maturato una sensibilita' diversa, approdai a "Disintegration": dovevo arrivarci prima o poi, ha la giusta estetica per entrare a pieno titolo nei miei ascolti preferiti da sempre (beh, dall'autunno del millenovecentonovantasette) e per sempre.
Sicuramente e' un album dall'ascolto piu' facile di "Pornography" e certamente ero cresciuta, o forse era semplicemente il momento giusto, chissa', ma mi entro' dentro con potenza.
Eccomi dunque a scriverne nel suo venticinquesimo anniversario.

E' un album di pura emozione.
Se chiudiamo gli occhi ci ritroviamo a camminare a passo lento sotto una pioggia tiepida e dolciastra; ci lasciamo bagnare, goccia dopo goccia, finche' non sentiamo piu' niente, ne' fatica ne' dolore, finche' i capelli non si appiccicano al viso e l'acqua scioglie il gotico ombretto nero degno di Brandon Lee che abbiamo messo sugli occhi.
E nel mentre ci lasciamo abbracciare e scaldare da immagini radicate talmente nel profondo del cuore da essere inaccessibili al nostro controllo.

Suoni lunghissimi di organi avvolgenti, di chitarre dilatate all'infinito (rigorosamente senza overdrive), di bassi ripetuti fino allo spasmo, di riverberi di rullante che riecheggia a lungo dopo il colpo. Suoni infiniti e la voce magica di Robert Smith ad arrotondarli, a farci sognare.
Perche' almeno una cosa a quindici anni l'avevo capita: la voce di Robert Smith non ha eguali, cosi' come inconfondibile e' il suo modo di accarezzare morbidamente la chitarra.

E' un album di una malinconia bestiale, dove persino il supereroe non e' una figura salvifica, anzi, viene di notte, mentre sei nel letto, e con bisbigli e movimenti sinuosi scivola lentamente sulle tue lenzuola per mangiarti il cuore. E' un album in cui un abbraccio si fa sacramento.
Unica eccezione al grigiore senza fine e' Lovesong, famosa per essere stata scritta come pegno d'amore alla donna che Smith amava e ama: non era una promessa la sua, ma la semplice constatazione (fin qui verificata, almeno a quanto ne so) che l'avrebbe amata per sempre.
Il resto, tutto il resto, lascia sugli occhi un'ombra, come fa il cielo del Ontario del Sud quando non e' pulito, cosa che purtroppo accade fin troppo spesso per i miei gusti.
E Smith piange, grida, si (ci) contorce, ma senza mai essere lagnoso.

Le melodie tutto sommato sono elementari, niente di artefatto, nessuna sorpresa armonica, nessun cambio mozzafiato, nessuna costruzione cervellotica, ma davvero non ce n'e' bisogno, anzi, e' proprio la sua prevedibile e apparentemente ripetitiva semplicita' a parlarti, a rievocare ogni momento bello della tua esistenza su questo sasso sperduto nell'universo.

Lasciarsi cullare dunque, lasciare che la malinconia ci abbracci in attesa del rifiorire degli alberi, di quell'incredibile esplosione di Vita che e' la primavera Canadese; lasciarsi addormentare e sognare tutto il calore che e' stato, in questa lunga pausa ghiacciata, in attesa del calore che verra'.


Lista delle tracce

Plainsong
Pictures of you
Closedown
Lovesong
Last Dance
Lullaby
Fascination street
Prayers for rain
The same deep water as you
Disintegration
Homesick
Untitled

sabato 13 febbraio 2016

David Bowie - ★ [2016]

Fondo bianco, una stella a cinque punte nera riempie il centro della copertina; subito sotto, piu' piccoli, quattro pezzi di altrettante stelline nere, tranne una, la seconda da sinistra, che a colpo d'occhio pare un pezzo come le altre ma non e' cosi': quella e' rimasta integra.

Play.

Fiumi sono gia' stati scritti in questi giorni, parole sull'uomo, sulla sua vita, sulle sue opere: relativamente poche su quest'opera, non s'e' fatto davvero in tempo ma del resto e' difficile scrivere di quest'album facendo finta che sia uno come gli altri.
A dirla tutta c'e' un prima e un dopo dell'undici gennaio: le grandi riviste ovviamente sono arrivate prima e alcune, lette oggi, colpiscono violentemente.

This tortured immortality is no gimmick: Bowie will live on long after the man has died. For now, though, he’s making the most of his latest reawakening, adding to the myth while the myth is his to hold. (Pitchfork, 7 gennaio)

Beneath the swooning cinematic rush of Dollar Days beats a gorgeous, bittersweet piano ballad on which Bowie proclaims himself “dying to... fool them all again and again” but the phrase breaks apart until he sounds like he might be singing “I’m dying too.” [...] What can it all mean? The man himself gives no interviews and apparently remains firm in his insistence that he will not tour again. Looking for clues in his music, we are confronted with inscrutability.  (Telegraph, 8 gennaio)


Dopo l'undici gennaio tutto cambia, si scrivono solo banalita'.
E' il mio turno di incrementarne il numero: chiedo scusa, ma la verita' e' che quest'album piu' lo ascolto e piu' mi piace!

In rete se ne parlava da mesi, voci piu' o meno di corridoio si rincorrevano nell'attesa: ogni tanto una notizia, a volte un video che non osavo guardare per non rovinarmi il gusto della scoperta; poi l'uscita, ben congegnata in modo da coincidere col sessantanovesimo compleanno del Duca, e in un battito di ciglia parte l'ordine su Amazon, con tanto di acquolina in bocca e la flebile speranza di un passaggio in citta' (anzi, in Citta').
Neanche tre giorni e, ben prima che l'album venga depositato nella mia buchetta delle lettere, arriva la notizia: il Duca e' morto: un tumore se l'e' mangiato.

E allora ogni religioso attendere e' vanificato: si cerca l'ultimo video, le ultime parole, l'ultimo messaggio, si cerca di capire, forse per accettare, forse per sospendere la realta' e fingere che non sia vero, per rintanarsi in quei sogni glam-patinati di cui lui era stato l'inventore. Ma non c'e' sospensione, solo parole nude: guardiamo lassu', il Duca e' in paradiso e vola libero come una sialia. Lui ha voluto (e potuto) uscire di scena con una frase di congedo finale da tutto quanto e' li' li' per finire: nessun altro avrebbe saputo fare meglio di cosi', e se uno ci pensa capisce subito che non poteva andare diversamente.

★, dunque: che lo si ascolti ripetutamente, che se ne scriva, ma soprattutto che lo si ascolti.

Col senno di cui son piene le fosse si osserva subito il nero funereo che pervade tutto il libretto: nere le pagine, nere le parole stampate, i testi e i crediti, leggere e capire richiede sforzo, attenzione, pazienza.

Poi la musica.
Anzi, prima di tutto la Musica.
Perche' il fatto e' che ★ e' un album di una bellezza disarmante.

Chissa' cosa avrei pensato se avessi potuto ascoltarlo prima del dieci gennaio, chissa' cosa avrei capito... ma infondo e' stato lui a volere cosi': se la vita e' parte imprescindibile dell'arte, se l'arte si fonde nella vita, allora deve fare altrettanto con la morte.

★ e' un album elettro-prog di ritmi zoppi e voci tremanti in cui sassofoni cristallini e graffianti indirizzano lo sguardo verso spazi sconfinati dalle tinte fosche (Grazia, Graziella...). E' un commiato, una faccenda maledettamente privata che si fa pubblica e viceversa. E' il fondersi dell'eleganza musicale esasperata e di una nudita' verbale cruda al limite del sublime. E' una danza che ti entra dentro e ti resta avvinghiata addosso, un sussulto di vita, l'alito della morte che avanza.

Ad ogni ascolto noti un dettaglio, una sfumatura.
Dalla suite progressiva della traccia-titolo all'assolo del gran finale (e no, ha troppe variazioni armoniche perche' io possa definirlo completamente liberatorio), siamo cullati in un mondo sospeso tra jazz instabile, ballate al limite del post-punk, rock dagli echi metallici, deviazioni verso l'hip-hop (sic!) e aperture psichedeliche torcibudella. E il tutto, che ci si creda o no, e' organizzato in modo splendidamente omogeneo e compatto: del resto questo non e' certamente un album di canzoni buttate li' a caso.

Perche' insomma, diciamocelo: se sei David Bowie e sai di dover morire tra un anno o poco piu', che altro puoi fare se non lasciare il tuo ultimo messaggio in un album meraviglioso e poi chiudere gli occhi per sempre?


Lista delle tracce:


'Tis a pity she was a whore
Lazarus
Sue (or in a season of crime)
Girl loves me
Dollar days
I can't give everything away