lunedì 20 giugno 2016

2016: An American Odissey

Ormai quasi due anni fa c'e' stato il primo salto, i primi passi.

Come ci sono arrivata, ormai, non ha piu' nessuna importanza: sono qui, a ovest dell'Atlantico, e a questo punto mi domando se tornero' mai dall'altra parte. E infondo perche' dovrei?, qui sono trattata in un modo che di la' non sarebbe possibile e non credo di essere disposta a rinunciarvi.
L'America e' per sua stessa costituzione il "fresh start"! Dovevo cominciare dal Canada, e' ovvio, perche' due anni fa non ce l'avrei mai fatta ad andare a vivere negli Stati... ora e' diverso, tant'e' che la mia prossima meta sono gli Stati del sud (sic!), tanto sud che, a quanto capisco, tranne che in citta' (minuscola questa, almeno per ora) sono tutti repubblicani.
Ma sto divagando, tanto per cambiare.

Il viaggio, dicevo, e' cominciato quasi due anni fa, e infondo al cuore, all'epoca, pensavo che sarei tornata: me lo dicevo ancora un mese fa, anche se in realta' oggi capisco che non lo pensavo piu'.
Quasi due anni sono lunghi, piu' lunghi di quel che si puo' credere lasciandosi ingannare da un sguardo superficiale e poche parole.
Quasi due anni nel profondo nordamerica sono difficili da spiegare, il profondo nordamerica assomiglia a quei film che dall'Europa, con la puzza sotto il naso, giudichiamo belli, inquietanti e comunque di sicuro esagerati.
Bisogna viverlo da dentro per capirlo: fare amicizia con i venditori al farmers market, quelli che ci sono tre giorni a settimana perche' gli altri, per l'appunto, si lavora in fattoria. Bisogna scambiare due parole con la signora del caffenordamericano (no, non e' caffe', e' caffenordamericano, un'altra bevanda!) che sorride sempre. Bisogna passeggiare in certe zone che prende male solo a pensarci, averne sentito l'odore. Bisogna aver visto i bambini che giocano alla raccolta differenziata nel cortile della scuola. Bisogna esser stati a casa di una famiglia ultra'.cattolica a suonare il rock-&-roll. Bisogna aver festeggiato il ringraziamento.

La GTA e' piena di "italiani".
Non riesco a non mettere le virgolette: qui "italiano" e' usato in senso razziale.
Razza italica, come razza cinese o razza africana: non spiccicano una parola di italiano, figurarsi aver mai messo piede in Italia.
In questi due anni, vivendo gomito a gomito con queste persone, ho capito che quella che per me e' la definizione "italiano" va addirittura al di la' del passaporto; io stessa, in un certo senso, sono meno italiana oggi di due anni fa: lo ho capito quando una mia amica mi ha raccontato della presenza dei militari nella metro B, fatto di cui ero a conoscenza tramite i giornali, ma che non avevo capito e che infondo continuo a non capire. Ho vissuto i problemi del Canada, non quelli dell'Italia: oggi sono un po' meno italiana e un po' piu' canadese, domani saro' anche un po' statunitense, pensa un po'.

Un amico mi ha regalato "2001: A Space Odissey" e lo sto leggendo.
Ieri sera un passaggio mi ha colpita.

Base lunare Clavius, sala delle conferenze; Floyd e' appena arrivato e si guarda intorno.

"Floyd was particularly struck by a collection of signs, obviously assembled with loving care, which carried such messages as PLEASE KEEP OFF THE GRASS... NO PARKING ON EVEN DAYS... DEFENSE DE FUMER... TO THE BEACH... CATTLE CROSSING... SOFT SHOULDERS and DO NOT FEED THE ANIMALS. If these were genuine - as they certainly appeared to be - their transportation from Earth had cost a small fortune. There was a touching defiance about them; on this hostile world, men could still joke about the things that they had been forced to leave behind - and which their children would never miss."

Il corsivo l'ho aggiunto io.

Gli "italiani" di qui si riuniscono tra loro per guardare le partite della nazionale, ma si domandano come facciamo noialtri (voialtri) a vivere senza l'hockey o i french toast.
La puntualita' lucida con cui Clarke, con una frase, descrive i miei pensieri sconnessi mi fa sentire meno sola.

...e di dove saranno i miei figli se mai ne avro'?