sabato 22 luglio 2017

Montréal

(Sedersi a pranzare con un foglio, una matita e nessuna voglia di fare i conti: ecco che succede...)

Il Quebéc non e' Canada, e' un'altra cosa, ha un altro respiro. Non e' solo una questione di lingua, e' qualcos'altro che fatico a capire ma che sento nettamente. Il loro francese e' strano, spesso non lo capisco: un autoctono con cui parlavo l'altra sera al bancone del posto dove ho cenato (dove per altro ho mangiato un francesissimo Chèvre chaud decisamente notevole) diceva che dal suo punto di vista sono i francesi ad avere un accento strano. Gia'. Storicamente sbagliato, ma che importa?
Con l'inglese e' la stessa cosa, solo che siamo tutti abituati all'accento americano: chissa', magari passando un tempo sufficiente in Quebéc potrei addirittura cercare di capire se l'evoluzione dell'accento e' simile in spirito a quella avvenuta con la lingua d'Albione. E del resto ci sara' qualche linguista che ha studiato la questione ben prima e ben piu' approfonditamente di quanto potrei mai fare io col mio orecchio e i miei pensieri sconnessi.
Ma sto divagando, tanto per cambiare.

Dicevo che il Quebéc non e' Canada, ma non e' corretto: il Canada e' talmente vasto ed io lo conosco talmente poco che non e' giusto da parte mia lanciarmi in affermazioni cos' forti. Diciamo che il Quebéc e' profondamente diverso dall'Ontario del sud, affermazione molto piu' debole e oserei dire al limite del tautologico.
E' pur vero che i miei amici Hamiltoniani sostenevano di potersi sentire a casa in tutto il paese tranne che in Quebéc, quindi chissa'.
Quanto a me sento piu' forte il salto tra qui e l'Ontario del sud di quello che ho sentito tra l'Ontario del sud e il Grande Sud degli Stati: buffo, interessante, e' un altro fatto che vorrei capire.
Avere antenati francesi o ingelsi fa davvero cosi' tanta differenza?, il ben noto (e ingiustificato) senso di superiorita' francese e' davvero cosi' forte da sopravvivere per 200 anni a 5000 km di distanza?
Sara' che sono lontana dall'Europa da troppo tempo, ma oggi mi sembra che la somiglianza tra questi e i cugini d'oltralpe sia molto piu' forte di quella tra i nordamericani parlanti lingua inglese e i britannici. Buffo. Va detto anche che non ricordo di aver avuto la stessa sensazione quattro anni fa, durante la mia prima visita qui, ma va pur detto che all'epoca non avevo nessuna esperienza di vita nordamericana e inoltre i miei pensieri erano focalizzati su altro: oggi invece ho voglia e bisogno di guardarmi attorno e pensare.
Forse l'essere una comunita' piu' piccola rispetto a quella anglofona li ha portati ad aggrapparsi con piu' forza alle loro radici. O magari c'entra anche il fatto che il mio airbnb e' al Plateau...

Ma ecco, qui seduta in questo patio in una traversa di rue Sainte Catherine, mi guardo intorno e penso che tutto sommato potrebbe essere una traversa di Queen Street a Toronto, e a malapena noto la differenza. Cosi' come per certi versi il Plateau mi ricorda vagamente James Street North a Hamilton, solo piu' pulita e piu' viva.

Semmai dovessi tornare a casa saro' una persona diversa, una che si orienta in Citta' (maiuscola, quella), per dire. Saro' una che ha imparato il silenzio, una che ha perso il senso dell'orientamento, una che per tre anni ha dimenticato cosa vuol dire sentirsi a casa, sapersi accolti, ascoltati... non dico capiti, quello non e' possibile, l'essere umano non e' fatto per capire un altro essere umano, ma ascoltati... Saro' una che ha dimenticato (se mai lo ha saputo) come si parla, una che ha ascoltato tanto e non ha parlato mai. E chi lo sa, quandanche dovessi tornare a casa o trovarne una nuova, se tornero' a parlare. Qualcuno direbbe che non ho parlato mai e in linea di massima non avrebbe completamente torto ma ecco, diciamo pure che sono peggiorata molto.

Un uomo seduto a un tavolo qui accanto mi guarda. Non ha l'intento di approcciarmi, non e' quello sguardo li'. Mi guarda perche' mi vede sola e pensosa, con gli occhi che a tratti si alzano dal foglio per perdersi nel vuoto, e questa cosa lo incuriosisce genuinamente; magari si domanda cosa ci faccio qui, sola e pensosa, con una birra che si va scaldando al sole, una matita e un pezzo di carta.
Gia'.
Cosa ci faccio qui?
Mi sono persa e non riesco ancora a ritrovarmi.














































































...e comunque vedere un Tim Hortons sparuto sulla strada tra l'aeroporto e il centro mi ha scosso: accidenti quanto sono malinconica di questi tempi!

sabato 15 luglio 2017

Deproducers - Botanica [2017]

Sfondo di un verde chiaro e leggero, come una fogliolina giovane illuminata dal sole. In alto, al centro il numero due, al centro il titolo dell'album, scritto cosi' grande da dover essere mandato a capo, con opportuno trattino, tra la a e la enne: le lettere sono riempite con disegni di fiori, foglie, tronchi d'albero segati in modo da mostrarne le venature. Sotto, piccolo, il nome della band.

Play.

Prendete quattro giganti, metteteli in una stanza e lasciate che la magia avvenga.
E se non vi basta (del resto come potrebbe bastarvi?), fatelo una seconda volta: ecco a voi Botanica.

L'intento, a mio avviso riuscitissimo, dei Deproducers e' quello di re-insegnarci lo stupore verso la realta', dall'universo immensamente grande e lontano alla natura verde che ci circonda, stupore primordiale, vero, sincero, come quando eravamo bambini e guardavamo ad occhi spalancati le stelle di notte o le nervature delle foglie di giorno.
Il primo capitolo di questo "audiolibro" immaginifico era infatti dedicato allo spazio profondo, alle stelle, alle galassie, probabilmente la prima grande fascinazione di un essere umano nel momento in cui impara a guardare fuori e porsi domande... beh, almeno lo fu per me.
Il secondo capitolo, per l'appunto, e' dedicato alle piante, alla loro Vita imperscrutabile, al loro respiro lento e inesorabile.

A dare corpo e colore alle immagini poi, ci pensa la musica.
E che Musica!, scritta e suonata magistralmente, con eleganza: una morbida coperta da cui lasciarsi avvolgere, stordire e ipnotizzare, che i Signori Casacci, Cosma, Marock e Sinigallia (in rigoroso ordine alfabetico) ne sanno piu' di qualcosa su come ammaliare con suoni, ritmi, armonie.

Ecco, giusto un appunto, piu' che "musica da conferenza" come ho letto da qualche parte, vatti a ricordare dove, piuttosto direi "musica da documentario", non per sminuirne l'esattezza scientifica, sia chiaro, ma una conferenza sarebbe troppo tecnica perche' dei non-specialisti come me possano apprezzarne la bellezza, o stupirsene.
Di fatti lo scienziato da ringraziare questa volta e' Stefano Mancuso, che oltre ad essere (leggo in rete) il fondatore della controversa neurobiologia vegetale e' anche un abile TED-talker, perfettamente in grado quindi di comunicare con dei non addetti e farli pensare.

Ma se al primo ascolto ci si sofferma sulla musica, al secondo sui dati scientifici e al terzo sulle loro implicazioni, poi al quarto si ritorna in se stessi e dal quinto in avanti e' di nuovo la Musica, viene da dire scientificamente esatta, ad occupare la nostra attenzione e a farci sognare.

A rischio di ripetermi...
...2017, ottima annata almeno da quel lato dell'Atlantico.


Lista delle tracce

Pianeta verde
Dendrocronologia
Fotosintesi
Radici
Natura psicoattiva
Societa' vegetale
Global seed vault
Sviluppo di un fiore
Vegetazione modulare
Disboscamento
Botanica