giovedì 18 ottobre 2018

ITACA - ΙΘΑΚΗ

Σα βγείς στον πηγαιμό για την Ιθάκη,
να εύχεσαι νάναι μακρύς ο δρόμος,
γεμάτος περιπέτειες, γεμάτος γνώσεις.
Τους Λαιστρυγόνας και τους Κύκλωπας,
τον θυμωμένο Ποσειδώνα μη φοβάσαι,
τέτοια στον δρόμο σου ποτέ σου δεν θα βρεις.
Αν μεν η σκέψις σου υψηλή, αν εκλεκτή
συγκίνησις το πνεύμα και το σώμα σου αγγίζει.
Τους Λαιστρυγόνας και τους Κύκλωπας,
τον άγριο Ποσειδώνα δεν θα συναντήσεις,
αν δεν τους κουβανείς μες στην ψυχή σου,
αν η ψυχή σου δεν τους στήνει εμπρός σου.

Να εύχεσαι νάναι μακρύς ο δρόμος.
Πολλά τα καλοκαιρινά πρωιά να είναι
που με τι ευχαρίστησι, με τι χαρά
θα μπαίνεις σε λιμένας πρωτοειδωμένους·
να σταματήσεις σ'εμπορεία Φοινικικά,
και τες καλές πραγμάτειες ν'αποκτήσεις,
σεντέφια και κοράλλια, κεχριμπάρια κ'έβενους,
και ηδονικά μυρωδικά καθε λογής,
όσο μπορείς πιο άφθονα ηδονικά μυρωδικά·
σε πόλεις Αιγυπτιακές πολλές να πάς,
να μάθεις και να μάθεις απ' τους σπουδασμένους.

Πάντα στο νου σου νάχεις την Ιθάκη.
Το φθάσιμον εκεί είν' ο προορισμός σου.
Αλλά μη βιάζεις το ταξείδι διόλου.
Καλλίτερα χρόνια πολλά να διαρκέσει·
και γέρος πια ν'αράξεις στο νησί,
πλούσιος με όσα κέρδισες στον δρόμο,
μη προσδοκώντας πλούτη να σε δώσει η Ιθάκη.

Η Ιθάκη σ' έδωσε τ'ωραίο ταξίδι.
Χωρίς αυτήν δεν θάβγαινες στον δρόμο.
Άλλα δεν έχει να σε δώσει πιά.

Κι αν πτωχική την βρεις, η Ιθάκη δεν σε γέλασε.
Έτσι σοφός που έγινες, με τόση πείρα,
ήδη θα το κατάλαβες η Ιθάκες τι σημαίνουν.


(Κωνσταντίνος Π. Καβάφης)
Se per Itaca volgi il tuo viaggio,
fa voti che ti sia lunga la via,
e colma di vicende e conoscenze.
Non temere i Lestrìgoni e i Ciclopi
o Poseidone incollerito:mai
troverai tali mostri sulla via,
se resta il tuo pensiero alto, e squisita
è l'emozione che ti tocca il cuore
e il corpo. Né Lestrìgoni o Ciclopi
né Posidone asprigno incontrerai,
se non li rechi dentro, nel tuo cuore,
se non li drizza il cuore innanzi a te.

Fa voti che ti sia lunga la via.
E siano tanti i mattini d'estate
che ti vedano entrare (e con che gioia
allegra!) in porti sconosciuti prima.
Fa scalo negli empori dei Fenici
per acquistare bella mercanzia,
madrepore e coralli, ebani e ambre,
voluttuosi aromi d'ogni sorta,
quanti più puoi voluttuosi aromi.
Rècati in molte città dell'Egitto,
a imparare e imparare dai sapienti.

Itaca tieni sempre nella mente.
La tua sorte ti segna quell'approdo.
Ma non precipitare il tuo viaggio.
Meglio che duri molti anni, che vecchio
tu finalmente attracchi all'isoletta,
ricco di quanto guadagnasti in via,
senza aspettare che ti dia ricchezze.

Itaca t'ha donato il bel viaggio.
Senza di lei non ti mettevi più in via.
Nulla ha da darti più.

E se la trovi povera, Itaca non t'ha illuso.
Reduce così saggio, così esperto,
avrai capito che vuol dire un'Itaca.

(Konstantinos P. Kavafis)

mercoledì 26 settembre 2018

Mogwai - KIN [2018]

Sfondo nero, un cerchio di luce blu/arancio/rossastra lascia emergere il profilo di un ragazzo: i lineamenti e i ricci sia pur cortissimi lasciano immaginare un ragazzo di origini africane. Il titolo dell'album appare in basso, in un riflesso di luce blu. Appena sotto, appena visibile, la scritta "ORIGINAL MOTION PICTURE SOUNDRACK" e poi, sotto ancora, "MUSIC BY MOGWAI". Tutto in stampatello.

Play.

Ed e' incanto.
Che poi sia chiaro, a me i Mogwai piacciono assai, e non da oggi, eppure questo e' il primo loro lavoro che mi fa venir voglia di scriverne, vai a capire il perche'.
Che poi non e' certo la prima colonna sonora a firma del (ormai) quartetto scozzese, seppure questa sia la prima per un film vero e proprio.
Che poi, giustamente, in cos'altro potevano cimentarsi se non un, sia pur pessimo, film di fantascienza, in cui spaziare con suoni lunghissimi?
Che poi, per quel che concerne me, trovo che quest'album abbia una notevole forza autosufficiente.

Gia' dall'apripista si entra subito in un'atmosfera avvolgente e ipnotica, dai toni oscuri, e si capisce che il viaggio sara' lungo e intenso. Un lungo sogno da cui non svegliarsi mai.
E non voglio piu' svegliarmi, no.
Voglio lasciarmi ipnotizzare.
Rimanere stordita ancora un minuto, uno solo.
Perdermi nelle ripetizioni, nei cambi dinamici, nella potenza, nella dolcezza, nell'allucinazione.
Perdermi nel vuoto intorno, lasciarmi scivolare via tutto cio' che non c'e' piu', tutto cio' che avrei voluto fosse e non sara', tutti i sogni infranti, tutte le persone care che non posso abbracciare, che non possono abbracciarmi.
E sui titoli di coda, dove si possono ascoltare le uniche parole di questi 41minuti e 52secondi, pensare che no, non e' finita, che posso schiacciare di nuovo il tasto "play", ancora e ancora e ancora, fino ad addormentarmi spossata, fino a che il mondo davvero non esista piu', fino a che il silenzio non sia l'unica difesa possibile contro il silenzio.

I cieli di Scozia hanno motivo di brillare questa notte.

Lista delle tracce

Eli's Theme
Scrap
Flee
Funeral Pyre
Donuts
Miscreants
Guns Down
KIN
We're Not Done (End Title)

sabato 30 giugno 2018

Unknown Mortal Orchestra - Sex & Food [2018]

Una persona, una donna, in tenuta da schermidore; la mano destra, infilata in un guanto, e' poggiata sul petto; la sinistra, di un fucsia surreale, riposa sul ventre; la testa e' china, dall'elmo se ne intravede il mento.

Play.

E chi se lo sarebbe aspettato che quest'album mi sarebbe piaciuto cosi' tanto?, i precedenti lavori mi erano parsi gradevoli, d'accordo, ma piuttosto scialbi... questo e' ben altra cosa: piu' elaborato, piu' disturbante dal punto di vista armonico, uno strano miscuglio di acid rock, funk e soul, con una strizzata d'occhio all'elettronica che di questi tempi pare un po' obbligatoria, o forse e' il mio orecchio a cercarla con sempre maggior curiosita', chissa'.
Non so dire se e' perche' i neozelandesi hanno finalmente trovato la formula esatta, o perche' mi sembra sia suonato meglio, o perche' semplicemente mi arriva al momento giusto, ma trovo che questo lavoro sia una vera perlina.

Leggendo qua e la' scopro che e' nata prima  la copertina, poi sono venuti i brani, costruiti con l'idea di dare un suono a quei colori e quell'immagine sospesa, e infine il titolo, scelto per alleggerire il tutto, non senza un pizzico di ironia.
Perche' e' vero, non possiamo scappare dal 20mo secolo, neanche per i quaranta minuti e quarantacinque secondi in cui ci sediamo in poltrona con il fido cuffione a lasciare che la musica ci avvolga. E infatti se la musica puo' ricordare (piu' che poco) quella dei favolosi anni settanta, i temi no, quelli ci parlano dell'alienazione di questi dannati anni dieci, della solitudine di una tastiera di computer.

Dal punto di vista stilistico vorrei soffermarmi sugli arpeggi, con una menzione d'onore al missaggio, che quella chitarra, quando arpeggia, ha un suono morbido e bellissimo. Per non parlare dei cambi di passo, o delle chiusure inattese che ti lasciano come un cretino. O del fatto che l'unico brano chiuso in fade-out e' l'ultimo, come a non volerci salutare...

Quest'anno mi sono emozionata poco per la musica; verrebbe da dire che se qualcosa mi fa decidere di tornare su queste pagine significa che deve aver toccato qualche tasto impolverato, e deve averlo fatto proprio bene: anche solo per questo, ringrazio.

Lista delle tracce

A God called Hubris
Major League Chemicals
Ministry of alienation
Hunnybee
Chronos feasts on his children
American guilt
The internet of love (that way)
Evveryone acts crazy nowadays
This doomsday
How many zeros
Not in love we're just high
If you're going to break yourself

lunedì 16 aprile 2018

Snow in Damascus! - Unconscious Oracle [2018]

Sfondo grigio-bluastro. Al centro, in un cerchio, il disegno psichedelico della testa di una persona, che con le mani tiene un cubo con una specie occhio disegnato su un lato, come se attraverso quell'occhio egli potesse vedere. E altri cubi fluttuanti attorno, e alberi sottosopra, le cui radici affondano nel cielo. Il nome del gruppo e' in alto, il titolo dell'album in basso, tutto scritto in stampatello.

Play.

E' parecchio tempo che non riesco a trovare niente che riesca ad entusiasmarmi abbastanza da volerne scrivere; mi rendo conto che verosimilmente il motivo va ricercato non in una pessima annata per la musica mondiale, ma piuttosto in questa strana fase interlocutoria che sto attraversando e che mi sta un po' facendo perdere l'orientamento... ma sto divagando, tanto per cambiare.

Ma poi arriva questa perlina italica ed eccomi di nuovo qui, su queste pagine, a scrivere.
Perlina, sissignore, e il suo essere gioiello non dovrebbe sorprendere: missato da un certo Pazzaglia, con un certo Fiorucci alla batteria e un certo Lazzeri a fare una comparsata... insomma, gente che da anni si e' guadagnata la mia piu' completa fiducia musicale per i loro squisiti contributi ad alcune tra le opere piu' pregevoli che siano uscite dallo Stivale, e se personaggi cosi' decidono di mettere lo zampino in qualcosa... beh, questo qualcosa stuzzica la mia curiosita' e si aggiudica quantomeno una benevolenza preliminare: il resto poi, lo fa l'ascolto, anzi, gli ascolti.

Perche' questo bel lavoro ne merita piu' d'uno di ascolto, possibilmente in cuffia, in poltrona, col giusto tempo e la giusta attenzione.

Si tratta di un album malinconico e sognante, sospeso come in una nuvola, in cui ogni nota riverbera di eco interminabile: album elettronico eppure al limite del Floydiano, se mi e' concesso l'accostamento, in cui e' facile perdersi.
E' un abbandono consapevole, un lungo saluto a una parte di se' che bisogna lasciar andare, un addio necessario, per certi versi sereno, ma non per questo facile o meno emozionale.
D'altra parte forse anche la scelta di cantare in lingua d'Albione ci aiuta a rimanere sospesi in un fluttuare etereo: le voci poi, esse stesse sembrano venire da un altrove dove non c'e' dolore.
Ma sia chiaro, al di la' della scelta linguistica e' un album di sensibilita' profondamente italica.

Suggerisco inoltre di munirsi di un poderoso paio di cuffie per apprezzare fino in fondo quegli arpeggi morbidi ed ipnotici, quei tappeti avvolgenti, quei ritmi mai banail, e soprattutto quei dettagli minuscoli che fanno un ricamo pregevole al tutto.

Insomma, ancora una volta la mia fiducia musicale si e' rivelata essere ben riposta.


Lista delle tracce

Unconscious Oracle
Vultures
Fade Away
Still Astral Trip
No Details
Will
Guilty Brain
Cherry Tree
Falling Upwards

mercoledì 14 febbraio 2018

Glenn Branca - Symphony no. 13 (Hallucination City) for 100 guitars

Sfondo marroncino, di quel marrone che ricorda non a caso i palchi dell'Auditorium "Parco della musica" di Roma. L'immagine e' divisa in tre parti: in alto semplicemente lo sfondo, al centro lo sfondo e le scritte, a caratteri enormi, una sopra l'altra "Branca" e "Symphony no. 13", in basso un'immagine del palco della Sala Petrassi con i musicisti seduti in attesa che cominci lo spettacolo.

Play.

Il 28 febbraio 2008 (no, non e' vero, non sono passati dieci anni, e' solo un'illusione ottica... merda!) io ero li', all'auditorium, con il mio ragazzo dell'epoca; ricordo che entrando le signorine ci diedero della cera da mettere nelle orecchie; ricordo che giocherellai con quella cera per l'intera serata senza mai usarla per il suo scopo originario, e successivamente rimase nella tasca della giacca per tempo immemore prima che mi rendessi conto che sarebbe stato il caso di buttarla; ricordo dove ero seduta; ricordo di aver pensato che la sala era immeritatamente vuota, che quel palco faceva impressione con tutte quelle chitarre; ricordo che tornando a casa ero entusiasta, allucinata, felice; ricordo che ci fermammo in un bar per una birra e incontrammo un mio ex compagno di classe delle superiori, uno che al tempo faceva il bullo con me e io lo temevo molto, e che quella era strafatto in modo brutto, che mi abbraccio', che mi chiese scusa, che mi racconto' la sua vita, che mi fece una pena infinita; ricordo che quel concerto fu musicalmente uno spartiacque, almeno per me.
Questo e' cio' che ne scrissi il giorno dopo:

se la fine del mondo ha un suono, questo è il suono della fine del mondo.

questo pensiero ha attraversato la mia testa sistematicamente per tutta la durata del concerto mentre a tratti avevo quasi l'impressione che ci fossero dei pianoforti alla Schoenberg, dei violini, un organo... ma no, solo chitarre... tante che tutte insieme così non si erano viste mai... e tu chiudevi gli occhi e sentivi di tutto: c'era il terremoto, un treno che entrava in una galleria, un aereo in volo, clacson impazziti in mezzo a vetri in frantumi e case in fiamme...

Buffo rileggersi a tanta distanza.
Ancora piu' buffo scoprire che un paio d'anni fa, dopo piu' di otto anni, e' stato rilasciato un cd con la registrazione di quella serata: potevo forse esimermi dall'acquisto?

E cosi' mi ritrovo a scrivere di nuovo.
Perche' poche cose stordiscono come un album di Glenn Branca.
Quattro brani, quattro movimenti, quattro bombe soniche che ti scartavetrano le orecchie.
Ottanta chitarre elettriche distorte e stonate, venti bassi, e quella batteria da sola che tiene il tutto con il suo ritmo macabro. Ottanta chitarre elettriche che non lasciano respiro.
E' l'alienazione di una Gotham City senza supereroe, scura, sovrastata da nubi opprimenti, dove la salvezza non e' neanche piu' un ricordo.

Ovviamente l'esperienza dal vivo aveva una forza di allucinazione collettiva che su disco si perde un minimo (ma giusto un minimo) e verosimilmente il mio ascolto, coaudiuvato dalla memoria, e' diverso da quello di qualcuno che quella sera non ha potuto esserci.
Ma ecco, se volete (ma voi chi?) dargli una chance sedetevi in poltrona, infilate il disco in uno stereo, alzate il volume al massimo e chiudete gli occhi: la fine del mondo non sara' mai stata cosi' emozionante.


Lista delle tracce

March
Chant
Drive
Vengeance