mercoledì 30 dicembre 2015

Paolo Benvegnu' @ Monk Club - Roma

28 dicembre 2015

Il regalo di Natale perfetto prima di tornare alle grigie lande del sud-Ontario: l'ultima data del tour di Earth Hotel.
Il posto e' lo stesso di due giorni fa ma la situazione e' completamente diversa; sara' che e' lunedi' sera ma c'e' davvero poca gente, incredibilmente poca, e quella poca sembra ancor piu' radical-chic di quella che s'e' vista sabato sera: questi sono piu' calmi, piu' adulti, piu' "signori". Infondo, a pensarci, non sorprende poi tanto.
Questa sera sono sola, questa non e' un'esperienza che io possa condividere, il mio legame con la discografia del signor Benvegnu', con i (plurale!) Paolo Benvegnu' o con gli Scisma, e' troppo intimo, troppo privato, troppo nudo: un concerto come questo per me non e' un "semplice" evento musicale, non e' solo musica che cerco e so gia' che non e' solo musica cio' che trovero', che' ogni brano mi parlera' di qualcosa: un luogo, una persona, una sensazione, un ricordo, un sogno. Con questi Signori va sempre cosi', c'e' una strana commistione di musica (e che musica!) ed emozioni, una risonanza che non so spiegare ma che mi impedisce di vivere un loro concerto se non cosi', emotivamente nuda.

Entro presto, la sala e' vuota e agguanto anche troppo facilmente un posto in prima fila al centro del palco, con visuale perfetta su tutti i Musicisti.
Dalla mia postazione, sporgendomi, intravedo accanto ai pedali del Signor Benvegnu' la scaletta: non riesco a leggerla, e' troppo buio e in piu' non voglio guastarmi la sorpresa dei brani, ma sembra ragionevolmente lunga: ottimo!, penso tra me.

Presto entra il ragazzo-spalla, chitarrina classica in braccio, voce leggera: e' da solo sul palco, lui con la sua chitarrina, e penso che ci voglia davvero un gran coraggio per affrontare da soli il pubblico di un altro gruppo.
Si presenta come "Frisino", un nome che e' tutto un programma, e li', su quel palco cosi' grande per lui solo, pare un uccellino; quando si rivolge a noi ha la voce che trema ma al dunque e' perfettamente in grado di tirarla fuori e anche piuttosto bene. Soprattutto mi fa tenerezza il modo in cui ci ringrazia: si vede che quel "grazie!, grazie mille!, grazie!" lo pensa davvero con una certa emozione, c'e' una dolcezza poetica nei suoi modi che mi strappa un sorriso.

Quando esce la sala e' ancora semivuota e a questo punto mi sa che non si riempira' piu': d'accordo, e' lunedi' sera, ma data la mia ammirazione per i Signori in questione sono comunque spiazzata.
Nel mentre i tecnici aggiustano il palco, accordano un'ultima volta gli strumenti, cambiano l'asta del microfono. Esce anche Franchi alla ricerca di qualcosa, perlustrano il palco in lungo e in largo, dietro gli amplificatori, sotto la pedana della tastiera; alla fine trovano una borsa e, soddisfatti, escono: a breve si comincera', penso.

Buio.

Il primo ad uscire e' di nuovo Franchi che, con mia massima sorpresa, va ad imbracciare una chitarra: dietro la batteria siede uno che non avevo mai visto e di cui (chiedo scusa) non ho capito il nome. Poi, in rapida successione, entrano anche gli altri.
Applausi.
Franchi mi vede subito, sorride e mi saluta con la mano; lo ricambio con un sorriso e un compiaciutissimo cenno della testa: non ero sicura che mi avrebbe riconosciuta e ovviamente la cosa mi fa molto piacere.

L'apertura e' affidata a "Orlando" e penso che sono degli assassini seriali a voler cominciare cosi': Orlando parla direttamente con me, riconosco la sua voce, mi fa tenerezza e rabbia vederlo li', tranciato dalla sua stessa trebbiatrice... Peccato che il bilanciamento dei suoni sia tremendo: quel basso e' bellissimo ma cosi' e' troppo forte perche' lo si possa apprezzare, mi rimbomba in faccia e non riesco ad gustarlo completamente, nessuno potrebbe. Non finiscono il brano, non danno il tempo al poveretto di sedersi sulle pietre, lo lasciano li' a gridare mentre tutto gli parla di "lei", e attaccano il ritmo incalzante di "Nello spazio profondo" che stasera mi pare piu' incalzante che mai e concede il tempo di sistemare l'audio. E, inevitabilmente, precipito.
A seguire una "Feed the destruction" potente, lancinante, mi prende lo stomaco: addio Roma, addio casa (e non lo so nemmeno piu' dov'e' "casa", se ne esiste davvero una), addio amici, addio... siete tutti troppo lontani, io sono cosi' dolorosamente lontana... in questi giorni sono di passaggio, mi sento di passaggio, e domani tornero' al silenzio di Hamilton, al cielo grigio e pesante del sud-Ontario, al lago che in inverno e' cosi' silenzioso che il suo rumore rimbomba nel profondo del cuore...
Accidenti non posso commuovermi gia' al terzo brano!, dovrei riprendermi, vorrei riprendermi, ma i Signori non me lo consentono: parte "Avenida silencio", e il mio sguardo torna su King Street, sul ponte della superstrada in una mattina di novembre di un anno fa, mentre camminavo in mezzo a una bufera di neve per andare all'universita', con questa musica nelle orecchie e il pensiero rivolto a Roma morta non in un giorno ma in un istante, in questo istante: "Avenida silencio" e' e restera' quel posto li', quel momento li'... La chiudono con un finale sonico bellissimo, con Franchi che fa magie sul sintetizzatore ed e' un brivido sotto la pelle.
Non paghi fanno seguire "Una nuova innocenza" e capisco una volta di piu' come in quest'anno, dopo un inverno a Hamilton, un giugno sconquassante e un autunno confuso, il mio sentire sia cambiato: non posso pensarci adesso, non ho nessuna voglia di farlo. Guardo il batterista, i sorrisi che gli rivolgono gli altri, e penso che se la sta cavando egregiamente.
Ora anche Baldini mi ha vista e mi fa un cenno col capo: sorrido di rimando e penso che e' incredibile che si ricordino di me.
Finalmente mi concedono un attimo di respiro e suonano "Quando passa lei" che mi riporta a un tempo felice; anche questa volta come sempre, mi strappa un sorriso e un pensiero a cio' che non lascero' mai uscire dalla mia vita: l'intermezzo sonico che ci regalano e' una perlina auditiva che mi riporta nella sala e costringe i miei occhi sulle loro mani, sui loro strumenti.
Segue "Il mare verticale", condita con stacchi sexy-blues che suscitano un orgasmo sonoro: li godo tutti, uno per uno, li lascio penetrare. Quanta bellezza...
La pausa sarebbe finita, "Avanzate, ascoltate" mi scuote le ossa e sta per lanciarmi su un divano in una stanza dalle pareti gialle ma non voglio permetterlo, e' ora di riprendere il controllo della situazione e concentro tutte le energie sul palco, sui musicisti, sulle note che Lazzeri, da li' dietro, accarezza con garbo, sul finale sonico che mi esplode in faccia e mi stordisce.
E' un concerto supersonico quello cui sto assistendo, un concerto bellissimo.
"Il prossimo brano" dice Benvegnu' "e' di un album un po' vecchio che si chiama Hermann, si intitola "Love is talking" ed e' un brano cui siamo molto legati". Vorrei dir loro che anche io sono legata a quel brano, quel giro di basso si attorciglia intorno a me e fa tremare l'aria: cerco di guardare con attenzione le mani di Baldini, vorrei imparare a suonarlo ma ho gia' dimenticato troppo e chissa' ormai quanto ci mettero' a ricostruirlo...
Al termine del brano suoni lunghi, lunghissimi, ci introducono a una versione super-rock di "Suggestionabili" che gridata cosi', con questa potenza, con questa intensita', con questa nudita', e' straziante: mai come oggi l'ho sentita cosi' dolorosamente mia.
Poi altri fischi morbidi e caldi ci conducono per mano verso "Io e te" e qualcosa in quei suoni me la fa indovinare in anticipo: alzo lo sguardo verso Benvegnu', dritto davanti a me, faccio appena in tempo a pensare "vabbeh, allora uccidimi!" ed ecco un altro balzo indietro, le alpi marittime, il cielo in una stanza d'albergo, Mina... associazioni di idee troppo facili per non scadere in un vergognoso cliche'. Franchi allunga i suoni all'infinito con una slide, i tempi sono dilatati come a prolungare la mia agonia (ma che bell'agonizzare!), "e poi dimmi se ci sei" grida Benvegnu' dal fondo dello stomaco, il brano esplode e torno in me.
Alla fine del brano Benvegnu' e Franchi riaccordano le rispettive chitarre in drop-d e di nuovo capisco immediatamente; "Johnny & Jane" suscita in me sentimenti contrastanti di benessere macchiato di attese disattese, perche' nella vita vera la paura non va via montando su un cavallo bianco (che per altro non arriva mai) ne' su un volo transoceanico: fa molto piu' effetto pedalare con tutta la forza che si ha nelle gambe a meno quindici in riva all'Ontario ghiacciato, sotto un cielo grigio pesante come un coperchio. Sorrido e riporto l'attenzione al palco, all'arpeggio, alla Musica.
Alla fine del brano un inchino e via, spariscono rapidamente dietro le tende.

Pausa.
Brevissima.

Sono di nuovo fuori, con "Io ho visto" che mi ricatapulta su un treno, ma e' solo un attimo, un battito di ciglia: tutta la mia attenzione e' incentrata sulle note e sui ritmi di questo brano bellissimo e ne lascio fluire la Musica fuori e dentro di me.
Poi "Nel silenzio" mi strappa un sorriso, mi inumidisce gli occhi di dolcezza e mi toglie il respiro: pensavo che avrei visto altro e invece, a quanto pare, c'e' ancora l'ulivo di Largo Murialdo pochi mesi prima di discutere la tesi di dottorato, poco prima che la Vita prendesse quello spin portentoso la cui forza centrifuga mi ha spedita in Canada.
A chiusura di questa seconda parte "E' solo un sogno" come un anno fa, ma anche qui mi accorgo che la mia percezione e' cambiata e questa volta sono sul 16 in direzione Toronto, sulla QEW, in quel punto della strada dove all'improvviso, da dietro il gruppo di grattacieli residenziali che introducono alla citta' (anzi, alla Citta') appare il lago, si vede la CN Tower avvicinarsi e il cuore si apre alla meraviglia.

Ri-Pausa.
Ri-brevissima.

Emergono e riattaccano da uno splendido finale per "E' solo un sogno", un bell'assolo di Franchi, una notevole coda rock: "prima aveva fatto un finale troppo magro" dice Benvegnu' indicando Franchi con un bel sorriso.
Suonano "Sempiterni sguardi e primati" che tocca ancora una volta le stesse corde, perche' a distanza di un anno mi sento ancora persa nel mondo che ho osato cercare. Questa volta pero' il finale lo cantano davvero e mi rendo conto che se un anno fa avrei pianto tutte le lacrime del mondo oggi mi tocca in modo diverso; la ragazza alla mia destra invece si toglie gli occhiali, si passa una mano sugli occhi e quest'immagine mi colpisce violentemente lasciandomi intuire che qualcosa sta cambiando, che il tempo e' passato, e del resto lo vedo ogni giorno nello specchio, in quel primo capello incontestabilmente bianco di cui vado fierissima, e chissa', forse e' vero che sto camminando bene.
E cosi', su questo pensiero, parte "Cerchi nell'acqua" (cosa avevo scritto un paio di mesi fa a proposito del Signor Uomonuovo che cercava di "riconoscersi per cerare"?, sorrido) per il gran finale sonico-rock: questo e' il messaggio con cui i Benvegnu' ci salutano e chiudono un tour durato quasi un anno e mezzo... occhei, messaggio ricevuto, credo.
Presentazione dei musicisti (e niente, il nome del batterista non l'ho capito...), tre inchini, applausi, buio.

Mi siedo su un divanetto ad aspettare (sperare) di veder emergere Andrea per salutarlo; mi dico che posso aspettare un quarto d'ora e se non esce vado a casa ma sono fortunata, esce prestissimo e mi faccio avanti. Sorride nel vedermi, ci abbracciamo e ci raccontiamo vicende e impressioni dell'ultimo anno quasi fossimo vecchi amici: mi colpisce il pensiero di come l'esperienza con musicraiser abbia fatto nascere una specie di amicizia: anche Luca, quando esce e mi vede, mi saluta con un abbraccio al grido di "la canadese!", ma poi, come e' logico, passa oltre.
Domani ho il volo per Toronto e sono gia' stanca morta, ma Andrea ha voglia di chiacchierare e del resto anche io: i miei tentativi di andar via sono debolissimi nonostante sia una settimana che dormo si' e no quattro ore a notte, nonostante mi aspetti un viaggio di piu' di quindici ore (tra una cosa e l'altra). Sono stati giorni cosi' belli - tra parenti, amici e musica - che tutto sommato mi dico che potro' dormire a Hamilton con Ofelia accanto, che questa e' la mia ultima notte a Roma per un po' e vorrei non finisse mai.
Chiacchieriamo a lungo con Andrea, del Canada, dell'Italia, della vita del matematico, di quella del musicista, mi offre da bere e poi, da gran signore, insiste per non lasciarmi da sola alla ricerca di un taxi a Portonaccio: mi offre quindi un passaggio sul pulmino verso il loro albergo da dove mi fara' chiamare un taxi.

Sul pulmino ad un certo punto trovo il coraggio di girarmi verso Benvegnu', seduto dietro di me, e di ringraziarlo del bellissimo regalo che mi hanno fatto nel venire a chiudere il tour a Roma la sera prima della mia partenza: lui mi ringrazia di rimando e mi stringe la mano con un gesto caldo e sincero.
Poi invito Andrea a venire a suonare a Toronto e li' Benvegnu' mi guarda e dice, con una naturalezza che mi spiazza, "tu hai scritto una cosa bellissima: grazie!" (uh?, io?, cos'e' che avrei fatto?) "massi'... una recensione personalissima in cui c'era quest'immagine dei tuoi passi nella neve..."
Dio...
...seriamente?, l'ha letta?, davvero?, e lo ha colpito tanto da associare Toronto a quello che ho scritto?, io, la matematica con l'animo rock, quella che non ha mai avuto il coraggio di provare a fare la musicista e si e' accontentata di suonare per se' stessa e ancor piu' per se' stessa tiene un blog su cui recensisce, per il bene di nessuno se non il suo, gli album e i concerti che la colpiscono in un senso o in un altro... io, con queste idee sconnesse che riporto a tempo perso, sarei riuscita a colpire le persone che mi prendono a pugni nello stomaco ogni volta che suonano una nota su disco o dal vivo? Andiamo, non ha nessun senso... vorrei dire che non e' niente di che, che sono loro a fare cose meravigliose, che io reagisco e basta, ma mi esce un pessimo "no, vabbeh, tu mi hai fatto male..." cui lui reagisce con un "tu invece mi hai fatto bene...". Metto su il tono spavaldo di quando mi sento fragile e dico che in un paio di giorni arrivera' anche il racconto di questa serata; e' vero ovviamente, e' lo scritto che state (ma voi chi?) leggendo, ma la verita' e' che se fossi da sola probabilmente piangerei e basta: eggia', ho la lacrima facile quando si tratta di commuoversi, ma non in pubblico, mai in pubblico.
...certo che sono ridicola: trentadue anni buttati!
Andrea mi chiede del mio lavoro, dei miei "conti": l'immagine del matematico che fa i conti coi numeri e' difficile da sradicare ma la verita' e' che i matematici sono dei pazzi, dei sognatori, dei poeti... o almeno io lo sono e per la prima volta, nel cercare di spiegarmi con lui, trovo la giusta immagine poetico-musicale, imprecisa ma evocativa, per raccontare cosa faccio.
E in un qualche modo, paradossalmente, lo capisco anche io per la prima volta.
Io non cerco di sfondare nessun limite, il muro dell'ignoto lo lascio sfondare ai professionisti, a gente piu' seria e preparata di me; se me lo chiede un matematico, in gergo, io vado a caccia di moti quasiperiodici in sistemi perturbati; per tutti gli altri - e infondo per me stessa - io cerco l'armonia la' dove dovrebbe esserci il caos, e questo perche' ho intimamente bisogno di credere sia cosi' che va il mondo, perche' l'armonia deve sopravvivere al rumore.

E sul taxi verso casa di mio padre, ripensando alla conversazione con Andrea, un'idea mi fulmina, un'idea semplice e bellissima, di quelle che ti fanno sentire il re degli imbecilli per non averci pensato prima, come solo le idee giuste sanno fare: l'unica speranza che ho per fare matematica davvero bene e' quella di ritrovare l'equilibrio e conciliare la matematica col mio animo di musicofila.
Cosa questo significhi all'atto pratico non ne sono ancora sicura, ma capisco intimamente che e' quello che devo fare.
Un ultimo grazie allora, piu' che mai, dal profondo del cuore.
Ad Andrea, a Benvegnu', agli abbracci degli amici, a quelli dei parenti, ai ritorni in Europa con cadenza piu' o meno semestrale che servono un po' a fare il punto della situazione e a dare nuovo slancio in avanti.
Ora mi aspetta un altro inverno canadese ma paradossalmente non vedo l'ora di affrontarlo: sono sopravvissuta una volta, posso farlo di nuovo e meglio.
Io non... io non ha piu' paura.
Davvero.
Grazie.

domenica 27 dicembre 2015

Giorgio Canali plays Joy Division @ Monk Club - Roma

26 dicembre 2015

Quando leggi dell'esistenza di un concerto del genere non puo' che accendertisi qualcosa dentro: se poi sei nella citta' giusta al momento giusto devi andare. Punto.

Organizzo la serata con due amici: una e' quella che e' stata con me qui, qui e qui (robetta...), l'altro e' uno cresciuto a pane "Siberia" e "Desaparecido", uno che aveva l'eta' giusta per farsi scuotere dai CCCP al massimo del loro splendore, uno dotato di un tocco di quella follia buona che lo rende un essere umano unico al mondo.

Il posto e' davvero carino, un circolo ARCI perfettamente adatto ai radical-chic che siamo diventati (mea maxima culpa) e li' per li' un po' mi fa effetto, ma ormai mi ci sto abituando.
In attesa del concerto beviamo una birra seduti su un comodo divanetto in una piccola sala dove stanno proiettando, ma senza volume, Control: certo che l'attore che fa Curtis lo avevano conciato proprio bene!

Entrati nello spazio concerti mi sento toccare su una spalla: mi volto ed ecco "l'immenso T.", un vecchio amico dei tempi delle superiori, uno di quelli del giro dei musicanti (no, "musicisti" sarebbe un termine troppo elevato) adolescenti monteverdini della fine degli anni novanta. Sapevo che avrei incontrato qualcuno di loro questa sera, non ci siamo mai del tutto persi di vista e fa sempre tenerezza incontrarsi in occasioni simili.  Piu' tardi, per mia somma gioia, incontrero' anche un'altro amico di quel tempo, quello che era il mio amico del cuore ma poi la vita ha fatto i suoi giri bislacchi... lui non poteva non esserci, i Joy Division ne ero davvero sicura, ed e' stato dolcissimo vederlo.

Niente gruppo spalla questa sera.
Canali, la Baraldi alla voce (scelta ardita e azzeccatissima) e Greco (Rossofuoco) salgono sul palco verso le undici, forse piu' tardi: il basso e' affidato a zio-computer, la batteria non c'e'.

Attaccano subito con "Atmosphere", con un arpeggio dolcemente distorto di una bellezza implacabile e dolorosa, poi sparano "Transmission" come un turbine punk e cantiamo tutti. Segue una "She's lost control" completamente riarrangiata da brivido, con le note della chitarra di Canali che entrano nelle vene e sconquassano i sensi.
Non si fa a tempo a riprendersi che attaccano una "Days of the Lords" rarefatta e sospesa: in realta' tutte le canzoni, con quel basso pre-registrato e quei duetti di chitarre dai suoni lunghissimi e penetranti, sembrano eteree questa sera, anche quelle piu' veloci ed esplosive. Arriva il turno di "Love will tear us apart" che come la giri e la rigiri e' sempre la piu' ballata dal pubblico. Il tempo di riprendersi e parte "Atrocity exibition" con la Baraldi si dimena sul palco e noi con lei. Poi "Disorder", altra esplosione punk nonostante l'assenza di batteria, e a seguire "Ceremony" che stordisce e fa ballare.
Siamo a "New dawn fades", ipnotica e intensa: chiudo gli occhi e la lascio passare attraverso la pelle, dentro i tessuti organici, infondo alle viscere. Sul finale, lunghissimo, le chitarre si intrecciano facendo venire la pelle d'oca. Letteralmente.
Poi "Twenty four hours" e scariche elettriche che arrivano da tutte le parti. Segue una "Heart and soul" che lascia storditi e senza fiato.
"Direi come fa il papa" dice Canali "il concerto e' finito: andate in pace!, pero' vi faccio prima un ultimo pezzo" e attacca una "Shadowplay" all'ennesima potenza che mi da il colpo di grazia.

Fine.
Di gia'?
Si'.

Scendono dal palco e realizzo che e' davvero gia' finito tutto: e' stato troppo, troppo breve, ne vorrei ancora, andrei avanti per ore.

Capiamoci.
Non era un compito facile, reinterpretare brani che hanno tanto peso storico ed emotivo per tutti i musicofili del rock moderno e' rischioso, i puristi storcono il naso e i dilettanti non capiscono: a mio avviso invece l'operazione e' riuscita perfettamente!, Canali ha reinterpretato i Joy Division in chiave contemporanea, la sua LesPaul calda, ruvida, mistica e sensuale (si', ha reso sensuali i Joy Division!) fischia ancora nelle mie viscere.

Alla fine la mia amica e' stanca e torna a casa; l'amico invece, recentemente tornato single, e' felice e ha voglia di ballare: resto con lui dunque, beviamo un'altra birra e balliamo forse altre due ore nella discoteca rock che ha seguito lo spettacolo.

Passare per l'Italia ha indiscutibilmente dei vantaggi musicali che strappano momenti di dolcezza senza pari.

venerdì 25 dicembre 2015

Marlene Kuntz in Complimenti per la festa - un film di Sbastiano Luca Insigna [2015]

Mi cimento per la prima volta nella recensione di un film, ma infondo non e' un film nel senso stretto del termine e, come potrete (ma voi chi?) forse intuire, si tratta di un'occasione del tutto particolare, il mio primo grande amore musicale, quello che una volta entrato nel cuore non ne esce piu': per chi ne avesse voglia qui i miei scritti in proposito.

Quando un anno fa ho saputo della possibilita' di finanziare il progetto ovviamente non mi sono tirata indietro, anzi ho aderito con gioia ed entusiasmo, sicche' oggi, sotto l'albero, ho un auto-regalo molto speciale: il dvd, la serigrafia che era stata messa sull'amplificatore di Tesio durante il tour dello scorso anno, e (toccando il massimo grado di feticismo musicale da me concepibile) le corde usate della LesPaul "Left", la mia preferita.

Il film parla di "Catartica".

Perche' e' inutile raccontarsela: nella storia della musica italiana "Catartica" ha un ruolo speciale, condiviso (a mio modestissimo e personalissimo giudizio, sia chiaro) con ben pochi altri.

Seguendo musicalmente la scaletta del tour dello scorso anno (ma saltando i brani di Pansonica) ci vengono mostrate immagini del suddetto tour, le scene dei concerti e quelle piu' "casalinghe" dei nostri prima e dopo il palco, mischiate a video risalenti agli anni novanta, partendo dall'epoca in cui "Catartica" non era neanche nelle loro teste (c'erano un po' di canzoni, tanti concerti, tanta voglia) fino al momento in cui Maroccolo entra nelle loro vite, consentendo quindi la nascita di quell'album che cambio' la mia, oltre che la loro.

Ci viene raccontato un processo di creazione che oggi, col senno di poi, appare ineluttabile.

Ci sono le interviste alle persone che c'erano, gli amici di sempre, e mi colpisce violentemente il fatto che io, quei primissimi concerti in giro per lo stivale, non li ho potuti vedere: ahime' sono sempre stata troppo piu' giovane di quanto avrei voluto essere per inclinazione e interessi.

E poi c'e' la Musica, tanta, targata MK, la musica di "Catartica", la musica del mio cuore, quella musica che e' allo stesso tempo una carezza e un pugno sonico in faccia.
Perhe' la musica e' protagonista assoluta di questo documentario, e del resto non poteva che essere cosi'.

E lo leggi negli occhi di Marock che quei ragazzetti cuneesi lo avevano colpito piu' di quanto lui stesso avrebbe potuto immaginare quando li ha chiamati, che dovevano avere dentro un fuoco potente, quello stesso fuoco che ti arriva quando lo stereo ti spara "Sonica" nel cervello, che poi e' lo stesso fuoco che si sente dentro "Musa", checche' se ne dica: e' il sacro fuoco di chi sa far musica e la sa far bene, di chi ha qualcosa da dire e la dice in modo onesto e sincero, senza fronzoli, senza premeditazioni.

Il film e' ottimamente riuscito; non ho molti ricordi di quell'epoca e i pochi che ho sono quelli di una bambina delle elementari, ma quando l'immagino e' cosi' che mi appare: un mondo in cui "Catartica" non esiste e in cui, quasi dal nulla, "Catartica" esplode.

E una menzione d'onore va al montatore per aver incollato ogni canzone da vari momenti di vari concerti dello scorso anno, un lavoro di cesello che da l'impressione di un collage sonico perfetto.
E le immagini di esplodono in faccia e i suoni ti entrano dentro.

Un film per i fan, gli appassionati, i musicofili di vario genere, i nostalgici, i curiosi. Un film per chi, come me, ha amato e ama la bella Marlene. Un film che non so quando sara' disponibile al grande pubblico, ma quando arrivera' sara' un bel regalo per tutti.

martedì 22 dicembre 2015

Julia Holter - Have you in my wilderness [2015]

Su uno sfondo color panna e' centrata una foto in bianco e nero: una parete bianchissima, a destra, in alto, un quadretto con su una scritta illeggibile, in basso uno specchio in cui si riflette una finestra con una piantina invasata sul davanzale; a sinistra la Holter e' appoggiata mollemente alla parete, una mano a spostarsi i capelli da davanti al viso, lo sguardo rivolto verso il basso con aria malinconica.
In alto, sopra la foto, il suo nome; in basso, sotto la foto, il nome dell'album. Appena sotto, piccolo ma visibile, il nome della casa discografica.

Play.

Che incredibile sorpresa mi ha riservato questo inizio-inverno: ecco qualcosa che non avrei potuto prevedere, ecco finalmente uno stimolo musical-intellettuale come non ne ricevevo da tempo.
Ho nelle orecchie una novita': una piacevolissima scoperta (viene dallo spacciatore, siamo chiaramente in territorio a lui affine) che mi pare estremamente difficile da catalogare.

Ritmi zoppi accompagnano le armonie delicate, eleganti e mai banali di questo bell'album.
Ritmi zoppi, non ci si puo' danzare sopra, la mente non vi si puo' adagiare a riposo e certamente non si puo' camminare a ritmo, si rischia di inciampare e farsi male.
Ritmi zoppi, cambi improvvisi eppure stranamente fluidi.
Archi, clavicembali, fiati, strumenti leggeri e persistenti.
E la voce della Holter che non ha tecnicamente niente di speciale, niente che colpisca nel bene o nel male, ma l'intensita' e' quella giusta e ti strappa un sorriso.
Forse un po' intellettual-snob, ma non poi cosi' tanto.

Cos'e' mai?
Non una carezza, non un calcio sulle gengive, non un abbraccio.

Il sentimento che mi arriva da quest'album e' quello di una strana intimita' distorta e impossibile da catalogare, una dolcezza contorta eppure deliziosa, un calore scomodo, una familiarita' di cui non si puo' parlare senza trovarla in un qualche modo ridicola.
E' sentirsi con un amico apposta per litigare su una questione di lana caprina, anzi, trovare una questione di lana caprina su cui poter litigare, scoppiando a ridere prima ancora di salutarsi, semplificando cosi', con una risata, la difficilissima fase dei saluti.
E' rivedersi dopo sei mesi e non riuscire ad abbracciarsi.
E' il mare d'inverno, il cui odore il Lago, per quanto grande, non potra' mai riprodurre, che mi richiama verso casa con voce di sirena.


Lista delle tracce:

Feel you
Silhouette
How long?
Lucette stranded on the Island
Sea calls me home
Night song
Everytime boots
Betsy on the roof
Vasquez
Have you in my wilderness

venerdì 20 novembre 2015

mercoledì 11 novembre 2015

Escalate! - Other brothers [2015]

Lo sfondo e' per tre quarti di colore rosso acceso e un quarto, quello superiore, nero. In basso due figure, due volti in una foto color seppia: uno e' in giacca e cravatta, ha l'aspetto di un giovane e ricco signore di citta' e guarda in macchina, l'altro e' di profilo, porta gli occhiali, si vede meno ma da l'impressione del fricchettone postmoderno. In alto, sul nero, il nome della band e' scritto in modo che la dimensione delle lettere sia crescente, come se il nome esplodesse, col suo punto esclamativo, verso chi guarda. Il titolo dell'album e' affianco, piccolo. "Other" e' color panna come "Escalate!", "brothers" e' marrone. Tutta l'immagine e' sporca, macchiata, come fosse una brutta foto degli anni sessanta.
Il retro del cd (si', val la pena guardare anche quello) e' per tre quarti rosso in alto col nome del gruppo al centro, sempre con lo stesso effetto esplosivo, mentre in basso si riconosce una musicassetta (sic): i brani sono divisi in un romantico lato A e lato B.

Play.

Un paio di settimane fa (ma forse sono gia' diventate tre) fa ero a passeggio a Kensington Market: andare in citta' (anzi, in Citta') mi riempie sempre di buon umore e le domeniche a piedi di Kensington Market sono una goduria, un'esplosione di vita e di colore.

Si passeggiava, il cielo era incredibilmente azzurro, la temperatura insperatamente mite, l'atmosfera distesa, il buonumore diffuso, quando ecco, piu' o meno all'altezza di Bellevue Square, mi si para davanti agli occhi questo terzetto di musicisti elettronici, basso, batteria, tastiere e sintetizzatori vari: inevitabilmente mi fermo incantata.
Sono proprio bravi, non c'e' che dire: il suono e' elettronico eppure c'e' anche qualcosa di funky, progressivo e jazz, e il tutto e' ben suonato, ben strutturato... insomma, un piacere inatteso nel piacere premeditato.
Non ci e' voluto molto perche' mi accorgessi del banchetto che esponeva i cd in vendita: vorrei gustarmi la fine dello spettacolo e avvicinarmi al banchetto in un secondo momento, magari scambiare due parole con i musicisti, ma il ricordo di esperienze recenti e soprattutto lo scalpitare dei miei compagni di avventure evidentemente poco interessati alla musica "d'avanguardia" (si fermeranno duecento metri piu' avanti a sentire il classico quartetto che fa cover di grandi successi, tutti invariabilmente impostati sul giro di do con il fa-maggiore-nordamericano al posto del re-minore... poi uno si domanda perche' non mi sento a mio agio a Hamilton!) mi fanno accelerare l'acquisto.
Peccato.

Comunque l'ascolto in cuffia, se possibile, non fa che aumentare il mio giudizio positivo: qui si sente anche una chitarrina leggera, suonata come si deve, che accompagna il ritmo senza farsi troppo notare ma la cui presenza da spessore e corpo all'insieme. Chissa' come mai quel giorno non c'era.
I brani scivolano morbidi uno dietro l'altro senza soluzione di continuita', il ritmo e' coinvolgente senza ossessione, i giri di basso avvolgono dolcemente l'ascoltatore, in modo appena percettibile, finche' non ne rimane impigliato e avvinto.

A suonare sono due coppie di fratelli, due Kern e due Drygas, mentre in copertina ci sono un terzo Kern e un terzo Drygas: altri fratelli, per l'appunto. Buffo.

E la loro e' una danza ipnotica, intellettualoide-snob quel tanto che basta da coinvolgermi (che posso farci?, sono un'intellettuale-snob, lo ammetto senza vergogna) ma senza esserlo al punto di annoiarmi.
E i due "beeeep" di sei secondi, uno all'inizio e uno a meta', a significare il cambio del lato della cassetta, mi fanno ridere tutte le volte.

Solo la citta' (anzi, la Citta') poteva dare i natali a un suono e un arrangiamento cosi' raffinati: in provincia, come in Boemia, tutto e' immobile.
Chissa', forse il mio non e' un problema col nordamerica, infondo sarei alienata anche a Ladispoli (con tutto l'affetto eh?), verosimilmente anche li' mi sentirei completamente fuori luogo.
Ma intanto sono qui ed e' qui che si deve ballare: magari andando a Toronto piu' spesso.


Lista delle tracce:

*SIDE A
Beeeep
'Sup, sun?
Beat is murder
Aquatic
Other brothers
Where there's vans, there's guns
Alpha beta kappa donna

*SIDE B
Beeeep too
The fourth floor
Blood, sweat and Tom Jones
Calypso
Ampersand
Hiphopany

domenica 1 novembre 2015

Scisma - Mr. Newman [2015]

Una specie di carta da parati brutta, bluastra, puntellata a formare spirali dai bordi rettangolari; e' squarciata in diagonale dall'angolo in alto a destra verso quello in basso a sinistra, e lo squarcio copre gran parte dell'immagine. Dentro lo squarcio una figura umanoide disegnata ad acquarello, una mano, il braccio, uno strano vestito azzurrognolo da bambino o da pupazzo: la testa e' una enorme macchia rosa con altre macchie dentro di colore piu' scuro: la si puo' guardare per ore ma non sembrera' mai una faccia. Il nome della band e il titolo dell'album sono appena sopra quella specie di testa: il primo e' scritto a caratteri bianchi e il secondo, una riga sotto ma traslato sulla destra, neri.

Play.

Insomma siamo alla ri-unione degli Scisma.
Dati i precedenti (qui i miei scritti a riguardo qualora dovessero interessare) nel mettermi all'ascolto di qualcosa scritto da Benvegnu' so che mi arriveranno una serie di colpi ben assestati la' dove fa piu' male: che sia perche' cio' che scrive e' universale o e' semplicemente vero che siamo in risonanza poco importa.

Scarto l'oggetto che ha percorso quasi seimila e cinquecento chilometri (arriva da Zurigo, vai a sapere il perche') e attraversato un oceano, e mi domando quale sia il senso di quest'operazione.
Intendiamoci.
Le ri-unioni sono spesso solo un modo per raccattare del denaro quando non si hanno piu' idee: si fanno un po' di concerti in giro per la gioia dei vecchi fan sentimentali e via.
Ma conoscendo gli Scisma e Benvegnu' non puo' essere questo il caso, non posso crederlo.
Benvegnu' ai miei occhi e' un instancabile cercatore di verita', uno che non torna sui suoi passi solo perche' e' la cosa piu' facile da fare, uno che se suona qualcosa e' perche' la sente nelle viscere: c'e' chi grida al genio ma io sento piuttosto di dover usare la parola "nudo", se si capisce cosa voglio dire. Inoltre, con tutta l'ammirazione che ho sempre avuto per gli Scisma, erano una band di nicchia anche allora, troppo difficili per l'utente medio, e dubito che la loro riunione abbia smosso folle oceaniche: da quaggiu' non posso dirlo con certezza ma ecco, non credo di sbagliare... e allora perche'?, cos'e' quest'album?
Qui pero' si apre un'altra domanda: perche' si erano sciolti?

Con questi pensieri mi metto all'ascolto.

Al primo giro sento subito le enormi differenze con gli Scisma degli anni novanta; tanto per cominciare la musica assomiglia molto a quella dei (plurale!) Paolo Benvegnu', segno che Franchi, Ridolfo Gagliano e Baldini hanno avuto un chiaro impatto sullo stile compositivo del Nostro. Inoltre noto che in tutti i brani la voce principale e' quella dello stesso Benvegnu', diversamente da quanto accadeva prima, quando l'incredibile voce vellutata e sorridente, da eterna bambina, di Sara Mazo la faceva da padrone. Per finire, dettaglio non da poco, la voce di Benvegnu' canta con gioia.

E' solo il primo giro e di solito al primo giro non capisco niente, mi lascio solo trasportare dalla musica, eppure questa volta arrivo a traccia sei, l'ultima traccia dell'EP, ed ecco la prima mazzata, forte, sulle gengive: due voci al telefono che parlano, non dicono niente eppure si capisce tutto.
Cosi', senza neanche una pausa di riflessione, schiaccio di nuovo il tasto play e questo e' quello che sento.

Mr. Newman ha camminato per quasi quindici anni alla ricerca di se' stesso, dopo aver ferito ed essersi ferito. E' inciampato, ha guardato dentro e fuori, "revisionato chiavi e libri mastri per riconoscersi" (diceva "riconoscersi per creare" all'inizio di questo percorso in solitaria, quando era debole in un mare verticale). Mr. Newman ha colpito ed e' stato colpito. Poi, inaspettatamente, ha ritrovato il suo Amore, la musa che aveva abbandonato per troppo Amore, e le chiede di ballare ancora una volta, "senza capire niente", per ritrovare la sua umanita', per diventare appunto un uomo nuovo.
E la guarda ammirato, e l'ama di nuovo, e lascia che le loro voci bellissime si amalgamino come facevano un tempo, e inventa suoni per lei, musica nuova, "un mondo che non finisce mai".
Ha sentito la mancanza di lei come lei ha sentito la mancanza di lui; impossibile dimenticare l'uno lo sguardo dell'altra, incredibile sentirsi perdonati per aver amato "in ritardo" ma e' cosi': l'amore, quello vero, non tiene conto del male ricevuto.
E si puo' suonare musica semplice solo per il gusto di essere di nuovo insieme ("elementare ar cazzo!" dice con ammirazione il mio cuore romano mentre gusto le loro deliziose divagazioni armoniche). Ed hanno ragione a dire che io, ascoltatrice, conosco solo una parte di loro, della loro vita, della loro essenza: di fatto conosco solo cio' che loro vogliono farmi vedere, eppure ho la sensazione di capire cosa mi stanno dicendo.
E' una danza incredibile, bellissima, che non puo' finire, "l'orizzonte e' la meta" anche se fa paura, anche se e' un "salto nel vuoto".
Ma il dato incontestabile e' la gioia di potersi dire a vicenda che "se tutto e' vero e' bellissimo", e che incredibile apertura musicale in quel passaggio!
E appunto parlano al telefono;  lei perplessa dice "non capisco dove vuoi arrivare" ma ride felice: si sono ritrovati. Lui sospira e imbarazzato fa discorsi contorti a proposito dell'alligalli (sic!). E poi lei lo dice "io quindici anni fa non avrei mai immaginato che dopo quindici anni ci saremmo ri-incontrati...".
Ecco qua.

E non sono sicura che "lei" sia effettivamente Sara Mazo o se non siano piuttosto tutti quanti: Sara, Giorgia, Michela, Giovanni e anche il nuovo arrivato Beppe. Ovvero potrebbe benissimo valere l'equazione

lei : Mr. Newman = Scisma : Benvegnu'.

Come s'e' detto conosco solo parte di loro e non voglio azzardare riflessioni che entrino nella loro sfera personale: ho le mie idee ovviamente, ma sono solo mie, permeate della mia storia e non necessariamente applicabili alla loro.
In ogni caso questo e' cio' di cui (mi!) parla Mr. Newman.

E cosi', in un attimo, tutto il senso dello scioglimento e della ri-unione degli Scisma mi si chiarisce. All'epoca non sono stati in grado di gestire il troppo amore, non erano pronti, Benvegnu' non era pronto, non era il tempo. Ora, dopo quindici anni, si puo' sperare di riuscire ad amarsi senza opprimersi.

Quanto a me non credo di essere ancora pronta per mettere da parte questo EP e passare ad altro, non sono sicura lo saro' a breve.
La musica e' calda, avvolgente e ispirata: certa gente non e' proprio capace di scrivere musica brutta!, i movimenti di ogni nota esprimono lo stupore e la gioia di essere di nuovo insieme.

Conseguenze della ri-unione?, vedremo, suppongo.
Per ora ci godiamo questo EP.

E capisco anche che non poteva che essere un EP, un incontro breve tanto per assaggiarsi di nuovo, per amarsi di nuovo, per capire dove si sta andando.
Solo un EP.
Ma intanto godiamocelo.


Lista delle tracce:

Mr. Newman
Neve e resina
Darling, darling!
Musica elementare
Metafisici
Stelle, stelle, stelle

sabato 31 ottobre 2015

Xylouris White - Goats [2014]

Una superficie grigiastra, di un materiale denso e dall'aspetto un po' viscido: una specie di tau e' tracciata come con un dito sulla neve. Niente scritte, nient'altro.

Play

Lo avevo detto che mi avevano colpita, no? Ci sono voluti piu' di venti giorni perche' il pacco contenente il disco arrivasse tra le mie mani, anzi, perche' io potessi andare a prenderlo... alla faccia di chi dice che solo PosteItaliane fa schifo!, ma questa e' un'altra storia e si dovra' raccontare un'altra volta.
Beh, peripezie a parte, l'album e' finalmente arrivato e finalmente sono potuta rientrare nell'atmosfera che mi avevano fatto assaggiare quella sera, in apertura ai GY!BE.

Non avevo capito (mea maxima culpa) che White e' quel White, quello dei Dirty Three: questo spiega almeno in parte come siano potuti arrivare alle orecchie dei signori quebecchesi.
Certo che il ragazzo sa suonare proprio bene.
Quanto al collega Xylouris... beh, con il suo liuto fa davvero le magie!

Devo dire che col cuffione l'odore di Mediterraneo si sente ancora piu' forte.
Si rimane facilmente irretiti dal calore di questa musica mentre si cerca di seguire le divagazioni ritmico-melodiche, e le immagini di un altro mondo (va detto, un mondo a me affine) si susseguono vorticose: la macchia mediterranea, l'odore dell'alloro, le capre con i loro pendagli, l'olio d'oliva, il vento del sud che ti accarezza la pelle, i movimenti lenti dei pastori, il sale, le onde che si infrangono sul bagnasciuga, le case bianche lassu' in cima alla scogliera, i pescatori all'alba nella baia... chiudi gli occhi e vedi e senti tutto questo. O almeno lo vedo io, con i miei occhi impregnati di nostalgia.

La voce compare qua e la' come aveva fatto quella sera: e' una lingua strana il greco moderno, specie se cantata, suona arabeggiante ma senza perdere quel retrogusto mediterraneo.
Sono suoni, chissa' se sono anche parole, chissa' cosa vogliono dire... Ma non e' importante, e' il suono stesso di quella voce ad ipnotizzare, a far dimenticare il cielo grigio dell'Ontario del sud.

Ma c'e' anche il caotico rumore post-punk che solletica le mie orecchie, sia nei toni sia soprattutto nei ritmi: e tutto questo mi incanta (avrebbero detto certe persone di mia "conoscenza").

Diciamo pure che a primo impatto fa un certo effetto pensare all'accostamento del liuto tradizionale cretese con la batteria australiana, pero' giuro che camminano a braccetto come se fossero stati fatti l'uno per l'altra fin dall'inizio dei tempi, e producono qualcosa che prima non c'era e ora, per fortuna, c'e'.


Lista delle tracce:

Pulling the Bricks
Old School Sousta
Psarandonis Syrto
The Bells
Wind
Suburb
Chicken Song
Fandomas
Run and La

martedì 20 ottobre 2015

Cosa sapete del Canada - Q.E.D.

Per l'appunto.

A leggere i giornali italiani sembra sia un risultato sorprendente, il risultato che nessuno poteva aspettarsi, ma d'altra parte bisognera' pure fare un po' di scena, no?, il Corriere e il Messaggero parlano addirittura di "svolta a sinistra"!

A casa dell'amico "politicizzato" ieri sera si e' stappata una bottiglia di spumante al grido di "Non siamo d'accordo con molte delle posizioni dei liberali, non abbiamo votato per loro, ma ci siamo liberati di Harper!, poi Trudeau e' uno di cui ci si puo' fidare, suo padre era una persona per bene, poi lo vedi?, e' appassionato: non come Harper o l'NDP... e infondo e' questo che ci vuole, passione!, largo al nuovo!"

Dio...

Dicono che Harper ha sbagliato la campagna elettorale e che ha sottovalutato il "grande cuore dei canadesi": nei giorni scorsi ogni mio tentativo di spiegare che era chiarissimo come sarebbe andata a finire, che era tempo di far arrivare anche qui il macellaio col grembiule rosso, era stato bollato come eretico.

Ieri sera ho preferito fare qualche sorriso di circostanza, mettere su la faccia della straniera che condivide volentieri la gioia degli amici e addormentarmi sul divano nel bel mezzo della festa: non avevo voglia di discutere.

Ho avuto ragione sui risultati elettorali: spero tanto (ma tanto) di sbagliare sul resto...

lunedì 19 ottobre 2015

Cosa sapete del Canada - Previsioni

Questa sera ci sara' lo spoglio, questa sera si sapra': nel mentre la mia cultura in merito si e' chiaramente accresciuta.

Sabato sera ero a casa dell'amico "politicizzato" a guardare l'hockey. Non riesco veramente ad appassionarmi a questo gioco, come al solito mi intriga di piu' il contesto sociale; l'hockey ha qualcosa del calcio, ma e' molto piu' sfacciatamente "violento" e soprattutto veloce, tanto che non se ne capiscono i ragionamenti. L'impressione e' quella di una spettacolarizzazione estrema, oltre al fatto che, nonostante quel che dicono riguardo alle botte che si danno, penso che a calcio ci si faccia molto piu' male: testimone ne e' il mio ginocchio sinistro.
Ma sto divagando, tanto per cambiare.

Ovviamente la partita era costantemente interrotta dalla pubblicita' (ah le gioie del nordamerica!) e molti erano spot elettorali.
Si impara tantissimo dalle pubblicita' a saperle guardare con occhio distaccato.

Innanzitutto devo chiedere scusa per quanto scritto precedentemente: Mulcair in effetti ha una posizione netta sul TPP da cui se ne puo' (spero) dedurre quella sul CETA, e se quella sera non se ne era parlato ovviamente e' colpa di chi poneva le domande.
Comunque vedere quello spot e' stata una sorpresa piacevolissima: e' la prima volta in tanti anni che sento un leader di sinistra (si puo' pronunciare questa parola?) esprimere una posizione netta contro questi trattati.
Gli spot successivi, quello dei liberali prima ma soprattutto quello dei conservatori poi, mi hanno chiarito definitivamente come andra' a finire.

Vincera' il Matteo-Alexis locale.

Tutta quello che ho sentito dire da amici e conoscenti negli ultimi mesi si puo' riassumere in un'unica frase esatta: "anyone but Harper!".
Che ai miei occhi e' come quando da noi si diceva che B. era il male peggiore e certe simpatiche canaglie hanno festeggiato (no, certe cose non si dimenticano) l'avvento di Monti.
Ora in Canada si apprestano a festeggiare l'arrivo del giovanotto col grembiule rosso (anzi, rosa pallido).
Del resto il primo dell'elenco dei giovanotti al comando di questa era che stiamo vivendo, non dimentichiamolo, e' stato premiato con un Nobel per la pace.

In teoria, e stando ai sondaggi, quella Canadese sarebbe una corsa a tre, perche' il leghista quebbecchese non ha i numeri per poter essere contato.
E tutti, tranne i cattofascisti ov cors, vogliono solo una cosa: che Harper scompaia.
E cosa fa Harper?, indice elezioni anticipate (questa cosa mi era sfuggita) e indica il Matteo-Alexis locale come unico rivale.
E indovinate un po' la reazione della gente?
Ma certo, noi lo conosciamo bene: il voto utile.
Dio...

Sono cosi' spaventata che vorrei urlare.

E quando spiego queste cose mi sento rispondere in tono piccato che non ne so niente, che di Matteo-Alexis ci si puo' fidare, che e' mille volte meglio lui di Belzebu'-Harper, che sono solo un'europea che del Canada non ha capito niente.
Lo spero per loro, perche' sono brave persone. E lo spero per il mondo, perche' ho bisogno di credere che da qualche parte esiste ancora della razionalita'.
Lo spero.
Ma non ci credo.

Questa sera ci sara' lo spoglio, questa sera si sapra'.

martedì 13 ottobre 2015

Ringraziamento Canadese - quel tacchino hollywoodiano

Come forse tutti sanno, negli "Stati" il ringraziamento si festeggia a fine novembre; qui in Canada invece si fa a meta' ottobre, e a pensarci e' naturale: il ringraziamento ha origini nella festa del raccolto ed ha perfettamente senso (ahime') che in Canada il raccolto avvenga prima.

Sono invitata a cena dalla "mia famiglia canadese", gli O., ed e' dunque tempo che io parli di loro, di quest'altro lato dell'altro lato dell'Atlantico.
Gli O. sono una famiglia che frequenta il mio dojang, o meglio, sono io che frequento il loro.
Il capofamiglia, Mister O., e' un uomo in un intorno dei sessanta, cintura nera, ottimo istruttore, con una tecnica strepitosa e un ottimo sguardo sulla tecnica degli altri: il mio primo giorno mi e' stato dietro dandomi i primi rudimenti, mi ha riso bonariamente in faccia vedendomi fare i primi crunch (confesso), a oggi mi da sempre consigli preziosissimi e lo considero quasi al pari del maestro.
Sua moglie J. e' una cintura verde-blu, donna dolcissima con dei bellissimi occhi azzurri, capelli bianchi tenuti sempre in una morbida coda di cavallo e ben curati, in generale emana felicita' e amore (giuro!); facciamo spesso coppia negli esercizi a due e con lei non riesco a usare la forza, non ce la faccio, ma lavoro bene sulla tecnica: ha un cuore d'oro.
Il figlio piccolo, S., e' una cintura blu-rossa, un naturale per tecnica, velocita', salti (sia detto che ha quattordici anni) e controllo del respiro: lui e' quello che mi ha insegnato quella che io chiamo "la danza di spada e coltello" e alcune tecniche di autodifesa.
Hanno anche due figli sui venti/venticinque anni, entrambi dotati di fidanzate, che ho conosciuto a un barbecue a luglio, quando hanno invitato me e la mia "famiglia" (ma questa e' un'altra storia e si dovra' raccontare un'altra volta) ma non ci ho mai interagito davvero: so che uno dei due e' una cintura nera che ha smesso, so che lo e' anche una delle due fidanzate, ma non ricordo l'accoppiamento con sicurezza.
Li considero, come ho detto, la mia famiglia Canadese.
Sono persone normali, anzi, sulla media di Hamilton direi benestanti, curati, puliti: la loro casa e' pulita, la loro pelle e' sana, si nutrono con attenzione e praticano sport. I figli sono ragazzetti molto belli per le rispettive eta'... insomma, la famiglia da serie tv.

Arrivo e padre e figli stanno lavorando al garage, che e' una costruzione separata e in effetti e' usato come luogo di lavoro del capofamiglia, che di mestiere fa impianti di sicurezza, chiavi e serrature; J. e' seduta a chiacchierare nella veranda-chiusa con la cugina del marito che vive negli "Stati", mi introduce, versiamo del vino (buono), chiacchieriamo, ci piacciamo. Dopo un po' ci spostiamo in cucina e, mentre J. segue i cibi in preparazione, arriva anche la sorella di Mister O.: ancor prima della sua entrata in scena mi viene detto che nel pomeriggio ha rasato il prato indossando tacchi alti e collana.
Si chiacchiera dunque, ed e' tutto molto tenero, casalingo.
Il ringraziamento, mi dicono, e' la festa del raccolto, la festa in cui le famiglie dei coloni (e prima ancora dei nativi), dopo aver raccolto quel che c'era da raccogliere prima dell'arrivo dell'inverno, si sedevano a tavola per ringraziare dio (e prima ancora la natura). Alla fine della fiera e' la festa della famiglia: avevo ricevuto due inviti per stasera, ma era giusto che passassi il ringraziamento con loro.

La conversazione e' gradevole, educata, non dico colta ma quantomeno non truce: non diversa da quella che avrei a Natale con la mia famiglia allargata.
Giusto a un certo punto mi si chiede cosa ne penso del Papa e mi sento con le spalle al muro: ho visto in casa un segno di cristianesimo, non estremo ma comunque presente, una piccola scritta in grigio leggero su bianco riportante una frase del vangelo e una croce, e le mie opinioni sul Papa non sono esattamente lusinghiere... Dopo un lungo tentennamento spiego brevemente la mia posizione ("mai fidarsi del tipo simpatico, specie quando e' un uomo di potere... e che potere!") e il discorso cambia subito, riprendendo la piega piacevole come se non fosse mai successo niente.
Da queste parti sono bravissimi a evitare o eventualmente cambiare un argomento potenzialmente controverso.

A un certo punto J. sforna il tacchino e mi emoziono.
Chi non ha mai visto in un film o in una serie televisiva la scena di un tacchino sfornato nel giorno del ringraziamento? Tutti abbiamo almeno un'esperienza hollywoodiana del ringraziamento.
Io c'ero.
E le patate al forno, e le carote, e la salsa di mirtilli rossi, e il purea di rutabaga che giuro: e' buonissimo. E le immancabili torte: quella con la marmellata ai mirtilli, quella con un frullato di fragole e yogurt, quella con mele, marmellata di mirtilli e crumble, e ovviamente quella di zucca, con tanto di decorazione al centro a forma di zucca da Halloween.
Vivere in nordamerica regala questi squarci filmici incredibili.
E' paradossale, ma conosciamo meglio le tradizioni nordamericane di quelle tedesche o spagnole.
Perche' adesso davvero, alzi la mano chi sa cosa fanno in Spagna per San Sebastian... potere del cinema di propaganda imperiale!
La cena del ringraziamento ha una dolcezza ancestrale saldamente incardinata nella testa di tutto il mondo occidentale grazie al grande e al piccolo schermo, e a mio modo anche io ne sento il fascino, e addirittura quasi mi commuovo quando J. ringrazia (dio, ma non lo nomina) per il cibo.
Il tacchino e' stato in forno otto ore, J. si e' svegliata alle sei per farlo: e' una bestia "piccola", dicono, altrimenti ce ne possono volere anche dieci di ore... sara' ma a me non pare affatto una bestia piccola. Mi torna in mente la mia ex compagna d'ufficio del Minnesota che sosteneva che il tacchino al ringraziamento e' uno spreco, che la carne viene sempre disgustosamente secca... quello di J. secondo me e' ottimo, si vede che gli e' stata dietro con cura e dedizione.

Ad un certo punto, in un momento in cui ci ritroviamo a parlare io e lei, mi racconta che suo padre era un ministro anglicano, che lei ha orbitato in chiesa a lungo ma poi ha visto quanta politica c'era dietro e si e' scocciata, ma questo non vuol dire che non crede. Deve averla colpita quello che ho detto sul Papa, forse sente di dovermi far capire che capisce quello cui ho accennato prima di cena. Le spiego che ho perso la Fede a Cana, durante un pellegrinaggio in Palestina (ecco qua, un pezzetto del mio passato oscuro e' rivelato), circa dieci anni fa. Sorride comprensiva e dolce.

Al momento del liquore il capofamiglia caccia con fierezza una Sambuca Ramazzotti che bevo con un sorriso: saranno anni che non ne bevo una e trovarmela a una cena del ringraziamento mi intenerisce. Prometto che al ritorno dalle vacanze di Natale portero' loro qualche liquore speciale che qui non si trova.

Al momento dei saluti mi indicano l'ingresso della casa con la bandiera canadese e quella statunitense ben in vista: Mister O. mi spiega che quando viene a trovarlo qualcuno uno dei parenti che vive negli "Stati" lui ha piacere di innalzare anche la loro bandiera; aggiunge anche il desiderio di comprare una bandiera italiana per le volte in cui io li andro' a trovare. La dolcezza di queste persone scalda il cuore.

Ho preso due porzioni di ogni cosa e assaggiato tutti i dolci: la pedalata del ritorno e' lenta e appesantita, ma decisamente appagata nel corpo e nello spirito.

lunedì 5 ottobre 2015

Sun Kil Moon - Universal Themes [2015]

Una statale nordamericana sotto un pesante cielo plumbeo; la foto e' presa da un lato della strada, perfettamente rivolta verso l'altro lato, precisamente a una cabina telefonica grigia come e' grigio il cielo. Un palo della luce sovrasta la scena. La scena e' di una verita' cosi' fredda da infastidire.

Play.

L'avevo detto che mi stava conquistando, no?, ebbene eccoci qua.
Otto brani per la durata di settanta minuti, una media di nove minuti a canzone che insomma, per un album folk-rock sembrerebbe un po' tantino, eppure scorrono via veloci senza che l'ascoltatore se ne accorga.

Seguendo la scia dell'acclamato Benji, Kozelek continua a raccontarci le sue storie vere e personalissime, i suoi giri con gli amici, le telefonate alla ragazza dalla camera dell'albergo; menziona piu' volte l'esperienza con Sorrentino, che per quanto minimale deve averlo colpito profondamente. Oppure le storie vere di persone intorno a lui, fa lo stesso.
Eppure, per l'appunto, alla fine queste storie non sono che un pretesto per parlare di amore, vita, morte amicizia, musica... temi universali, per l'appunto.

Pero', a dirla tutta, all'ascolto non e' che i testi si capiscano del tutto: la voce e' talmente biascicata, incisa, sovraincisa, raddoppiata (a tratti anche volutamente stonata) che per un non-anglofono, quand'anche impiantato in nordamerica, e' difficile dire di aver capito interamente un suo testo. Almeno, io non ci sono riuscita: i testi li ho dovuti leggere, ma lo ho fatto solo dopo che l'album aveva definitivamente raccolto il mio favore.
Come puo' dunque piacere un album folk-rock se non se ne capiscono completamente i testi?
Non lo so, ma sentitelo e poi fatemi sapere; io la risposta non l'ho trovata, non lo so spiegare, eppure mi ha appassionata.
Sara' la musica che e' proprio bella?, la dolcezza di fondo che traspare?, il senso di pesantezza e liberazione che convivono?, la voce sporca di Kozelek che sembra rivolgersi direttamente alle tue interiora?

La sensazione che si ha e' quella di qualcuno, un amico intimo, che al telefono ti vomita addosso tutta la sua vita emotiva, con le sue gioie e i suoi dolori, e lo fa con tanta urgenza che magari non riesci a capire esattamente tutte le parole che dice, ma senti che e' li con te, che ti sta emozionando, che lo devi ascoltare e che dopo vi sentirete entrambi molto meglio.

Continua inoltre la collaborazione con Steve Shelly, che ai miei occhi resta il dolce amico pacioccone che vuol bene a tutti e da tutti si fa voler bene, un po' come Ringo Star per intenderci, e anche Steve, come il baronetto, ha un tocco inconfondibile che aggiunge profondita' ai brani.
E sara' la suggestione data dalla presenza di Steve, ma a tratti gli arpeggi dolci si trasformano in sferzate dal retrogusto noise e ti lasciano li' inebetito.

Sara' il momento, sara' il caso, sara' quello che vi pare, ma questo e' forse uno degli album di Kozelek che piu' mi ha colpita (Red House Painters inclusi) ed e' tutto dire.


Lista delle tracce:

The Possum
Birds of Film
With a Sort of Grace I Walked to the Bathroom to Cry
Cry Me a River Williamsburg Sleeve Tattoo Blues
Little Rascals
Garden of Lavender
Ali/Spinks 2
This Is My First Day And I'm Indian And I Work At A Gas Station

sabato 3 ottobre 2015

Cosa sapete del Canada - Elezioni federali

Il 19 Ottobre in Canada si svolgeranno le elezioni federali. Curioso come di questo in Italia non arrivi nessuna informazione: leggo quotidiani italiani (ah l'era moderna), sono quotidianamente in "contatto" con Casa (le reti sociali... anche di questo bisognera' parlare prima o poi, ma non divaghiamo), e non ho mai visto una sola notizia a riguardo.

Certo, direte voi, il Canada non e' importante.
Sara', ma con gli Stati Uniti che stanno ipso facto (convincetemi che non e' vero, vi prego!) dichiarando guerra alla Russia stupisce come le elezioni federali canadesi non meritino neanche un trafiletto.
Ma magari mi sbaglio, magari almeno una volta ne hanno parlato e io me lo sono perso.
Comunque.

Ho un amico appassionato di politica che mi ha fatto un breve riassunto di storia recente e mi tiene aggiornata sugli esiti della campagna. Sto imparando molto.
Ci sono essenzialmente tre partiti, senza contare i "leghisti" quebecchesi di Duceppe (che da romana associo troppo facilmente a quello che di ceppa ne aveva solo una, ma dura): i conservatori di Harper, i democratici di Mulcair e i liberali di Trudeau.

In breve.

Harper e' al potere da dieci anni, nasce tra le fila degli ultras cattofascisti, e' diventato primo ministro in modo truffaldino, ed e' corrotto, e ha gli amici negli Stati Uniti e segue le loro direttive, e se ne frega dell'ambiente (qui a tutti importa molto dell'ambiente). I suoi cavalli di battaglia sono la difesa dei valori tradizionali , la difesa contro i terroristi, la difesa dell'economia (gli ho sentito usare la parola austerita'... ma che davvero?, ancora?, anche qui?, ma non gli e' bastatato?).
Mulclair e' il "vecchio comunista" anche se qui "comunista" e' una parola che non si puo' usare davvero: non e' chiaro cosa pensa del CETA (nessuno parla del CETA, neanche qui sotto elezioni... possibile?) ma sul resto e' piu' chiaro di altri.
Trudeau e' il figlio di uno dei padri nobili canadesi, giovane e alla prima esperienza con la "politica dei grandi".
Deja vu...

Ieri sera ho visto quello che probabilmente e' stato l'ultimo dibattito tra i quattro rivali.
Era in francese e non lo davano in tv, bisognava andarselo a cercare in rete.
Ebbene si'.

Harper aveva una spilletta con la bandiera canadese appuntata al petto, piccola abbastanza da passare inosservata, ma grande abbastanza da voler essere un messaggio subliminale; mani contratte, volto teso, aggirava le domande in modo davvero patetico. Si vedeva che era in difficolta'.
Il leghista... vabbeh, e' leghista: secessione e via il niqab.
Mulclair sembra una brava persona, uno che ci crede ancora (?). Affrontava il dibattito con energia, centrando sempre le risposte, ha opinioni nette ed e' chiaro nell'esprimerle.
Trudeau mi ha colpita.
Giovane, rampante, belloccio, sguardo sicuro, sorrisetto beffardo. Parla di tutto e di niente, evoca un non meglio precisato "nuovo" come panacea. Mi dicono "ci si puo' fidare perche' il padre era una brava persona, uno dei padri nobili, uno che ha fatto crescere il Canada".
Sara'.
Ma noi abbiamo una certa esperienza col giovanotto "nuovo" di turno.
Lo guardo e tremo: sentirlo parlare ha evocato in me l'immagine di un inviluppo convesso tra Matteo e Alexis.

Il Canada e' una terra immensa e prevalentemente disabitata, i pochi abitanti sono gente tranquilla e per bene. A chi andranno le risorse energetiche di quel mezzo continente quando sara' il momento?

(continua...)

domenica 27 settembre 2015

Godspeed you! Black Emperor @ Danforth Music Hall - Toronto

26 settembre 2015

Ormai si e' capito come la citta' (anzi, la Citta') abbia da offrire occasioni cui la provincia non puo' certo aspirare: il gigante fuori tempo massimo passa per la provincia, gli artisti moderni no. E io, per quanto mi possa intenerire nel vedere lo zappatore coatto che e' stato il mio mito quando avevo nove anni, sono innegabilmente un animale intellettualoide da citta', anzi da Citta': del resto la verita' e' che provengo dalla prima Citta' (in senso "occidental-moderno") della storia.

Il biglietto per i Quebecchesi l'ho comprato a meta' luglio, non appena ho saputo che sarebbero passati da queste parti, senza pensarci un secondo; non conosco nessuno potenzialmente interessabile a un evento simile, ovvero conosco piu' di qualcuno che verrebbe volentieri, ma sono tutti dal lato sbagliato dell'Atlantico, percio' vado da sola.

Se in alcune (molte?, la maggior parte?) occasioni e' bene essere in pista per godere lo spettacolo al meglio, questa volta le poltroncine di velluto non erano una scelta economica ma anzi, mi parevano decisamente piu' adeguate, percio' avevo comprato un posto a sedere in alto: col senno di poi devo dire che la scelta si e' rivelata assolutamente corretta.

Arrivo dunque, sono in alto, in ultima fila, abbastanza centrale: alla mia destra il corridoio, alla mia sinistra una coppia che andra' via prima della fine (!!!), davanti a me nessuno e posso stendere le gambe sul bracciolo destro della poltroncina davanti per godere comodamente la Musica.

Il gruppo spalla, gli Xylouris White non si fa attendere a lungo; sono un duo decisamente interessante, batteria e liuto, parzialmente strumentali anche se di tanto in tanto il liutista canta in una lingua a me completamente ignota, dal suono mediterraneo (scopriro' poi che e' greco). Gradevolissimi, intensi, avvolgenti: si', hanno catturato la mia attenzione e sono pronta a seguire la mia tradizione personale e comprare il loro CD all'uscita. Sulle ultime due tracce si avvalgono anche di un contrabbassista che da un gran corpo ai suoni, eppure devo dire che i brani a due mi avevano colpita di piu'. Vabbeh.
Non sono l'unica ad averli apprezzati: escono tra gli applausi del colto pubblico cittadino. A fine concerto, uscendo, mi fermero' al banco per comprare il suddetto CD, ma purtroppo (anzi, per loro fortuna) li hanno gia' venduti tutti: ci resto male ma stringo loro la mano complimentandomi e mi faccio dare un biglietto da visita, riducendomi poi ad ordinare l'album via amazon questa mattina.
Ne riparleremo.

Salgono i tecnici sul palco e in molti intorno a me si alzano per un'altra birra; il rapporto con l'alcol di questa gente mi lascia sempre un filo di nostalgia di casa: fino a diciannove anni non possono toccarlo, e' illegale, dunque dopo ne abusano...
Il palco e' allestito in un modo che non avevo mai visto prima, gli amplificatori sono disposti a semicerchio e le due sedie piu' vicine al pubblico sono addirittura voltate in modo che la persona che si siedera' sara' costretta a rivolgerci le spalle: sembra una specie di caldo cerchio accogliente di amici che hanno voglia di parlare fra loro mentre noi assisteremo stupefatti al loro dialogo.
Tutti dicono che Montreal e' la citta' piu' "europea" del nordamerica ma quando sono stata li' due anni fa non avevo avuto questa impressione: oggi, davanti a questo palco cosi' allestito, mi rendo conto che forse quel che intendono e' qualcosa di culturale che esprimono malamente col termine "europeo", ma bisogna viverci per sentirlo e coglierlo.

Mentre i tecnici sono ancora sul palco la musica di sottofondo si scioglie in un rumore elettronico cupo e persistente, come quello di quando si lascia un basso distorto appoggiato all'amplificatore, e continua anche dopo che i tecnici sono usciti e la sala s'e' fatta buia: con questo sottofondo entra in scena Sophie Trudeau camminando lentissimamente, subito seguita altrettanto lentamente da Thierry Amar che prende il contrabbasso.
Attaccano a sfregare delicatamente i rispettivi strumenti, i suoni infinitamente lunghi di "Hope Drone" cominciano a prendere corpo, avvolti ancora da quel rumore elettronico che non sembra aver intenzione di scomparire; sullo schermo alle loro spalle cominciano a proiettarsi forme grigie come un vecchissimo video in fase di sincronizzazione. I secondi diventano minuti mentre il resto della band prende posto nel semicerchio: Moya, Menuk, Pezzente, Amar, Trudeau e Bryant (gia' in ginocchio sui pedali), con Herzog e Girt in linea con gli amplificatori.
Non lo avevo mai sentito se non via youtube, sapevo pero' che ci aprono spesso i concerti e oggi ne capisco il motivo: la suite non esplode mai veramente, resta li' sul punto di farlo, eppure a suo modo riesce a far tremare tutto, mentre sugli schermi compare a tratti la scritta "Hope", distorta anch'essa dal rumore.

Segue "Gathering Storm" e le immagini sul fondo cominciano a prendere corpo: e' natura grigia, sferzata dal vento e dai suoni dei Quebecchesi. Mi torna in mente quella volta in cui i Marlene Kuntz avevano improvvisato sui video di Painlevé, ma qui non c'e' improvvisazione, questo e' stato pensato per essere cosi' fin dall'inizio, le immagini sono simili a quelle che si vedono nei video dei loro concerti sul tubo, con la differenza che a esserci e' tutta un'altra cosa.

Poi suonano tutto di fila "Asunder, Sweet and Other Distress", album cui sono particolarmente legata anche se qui non avevo avuto voglia di scriverne.
Spiego.
L'ho ricevuto in anticipo sul resto del mondo (vivere in Canada avra' pur qualche vantaggio, no?) e l'ho ascoltato per la prima volta in bici in riva al lago, solo che non era fine-maggio come con Sufjan Stevens, ma fine-marzo, forse inizio aprile: il disgelo era cominciato nel senso che le strade non erano fisicamente ghiacciate e si poteva prendere in considerazione l'idea di muoversi in bici, ma c'era ancora neve ovunque, ancora nevicava abbastanza spesso, il lago era ancora quasi completamente ghiacciato.
Era un sabato stanco in una fase di silenzio e freddo, l'album era arrivato il giorno prima, avevo cominciato a tirar calci da forse due settimane ed era ancora presto perche' fosse realmente appagante e il grigio mi opprimeva, sicche' avevo inforcato la bici ed ero andata al lago col mio fedele cuffione; faceva un freddo porco, indossavo due paia di pantaloni, due maglioni sotto la giacca, sciarpone e cappello di lana nonche' due paia di guanti, pedalavo con tutta la forza che avevo in corpo e nonostante gli strati mi si ghiacciavano le dita di mani e piedi. E li', guardando il lago, gli animali che vi camminavano sopra dando la sensazione che se io avessi voluto saltare su quello strato di ghiaccio non si sarebbe comunque rotto, immersa in quel grigio assoluto, avvolta completamente dalla musica dei GY!BE, ho capito.
Ho capito da dove viene la loro musica (dicono che a Monteral faccia piu' freddo e piu' a lungo), ho capito cosa davvero li differenzia dai Texani, ho capito che certi suoni parlano delle nervature del ghiaccio (gia', anche lui lo aveva gia' detto: fate caso alle armoniche che si sentono esattamente in quella strofa...), del cielo plumbeo carico di neve, del vento gelido e pesante del nord.
Ma soprattutto ho capito che non potevo lasciarmi abbattere, che ero piu' forte del cupo inverno canadese, e in un qualche modo ha fatto parte del processo di rinascita dopo l'inverno.
Sentire quest'album suonato dal vivo, cosi', in tutta la sua potenza, con quelle immagini di grigio-inverno che scorrono sullo sfondo mi ha colpita profondamente, facendomi venire brividi e pelle d'oca: la "parola con la w" (a settembre qui si dice cosi') non si puo' pronunciare, ma e' alle porte e so che questo pensiero ha attraversato la testa di tutti i presenti.

Poi e' la volta di "Moya" e il pubblico scalpita gia' ai primi suoni, qualcuno dal basso grida "thank you" e io mi associo mentalmente: che suite incredibile, quanta dolcezza, quanta meraviglia!
Segue un brano che non conosco, forse uno nuovo, che spero' pero' di poter riascoltare presto.

Chiudono con "The sad mafioso" e anche qui il pubblico si fa sentire subito con calorosi applausi: l'ascolto di un album dei GY!BE e' mentalmente impegnativo ma il bombardamento sonoro, oserei dire 'fisico', che si riceve ad essere li' lo e' ancora di piu' e l'energia emanata e' incredibile.
Capisco che non ci sara' un encore: come potrebbe del resto?, suonano da piu' di due ore, saranno distrutti, oltre al fatto che fare un encore di venti minuti avrebbe del ridicolo.
Infatti sulla lunghissima coda di "The sad mafioso" uno ad uno escono dal palco, lasciando gli amplificatori a vibrare di feedback infinito. Poi, all'improvviso, il silenzio.
Luci.

La 403 mi parla in silenzio lungo il viaggio di ritorno.

martedì 22 settembre 2015

Slash @ Hamilton Place Theater - Hamilton

21 settembre 2015

Correva l'anno 1990 e avevo da poco compiuto sette anni quando il figlio di amici di famiglia mi sottopose al primo ascolto di "G N' R Lies": la mia "carriera" da pessima musicista dilettante e attenta ascoltatrice di album comincio' quel giorno e i Guns N' Roses furono il mio primo amore musicale, parallelamente a Edoardo Bennato. Ebbene si', in versione ancora acerba (nel caso fosse sfuggito il dettaglio lo ripeto: avevo sette anni!) la mia anima rock e la mia vena cantautorale gia' cominciavano a farsi vedere.

Passarono per Roma nel '92 ma a quell'eta' non si poteva andare a un concerto dei Guns N' Roses: mi e' sempre rimasta una punta di amarezza nonostante mi sia sempre resa conto della ragionevolezza dell'imposizione parentale.

Nel '93, con lo scatto della decina e l'uscita di "In Utero", mi stavo gia' spostatando nella direzione musicale che chi mi legge con attenzione (dai, ci saranno almeno due persone che leggono questi miei scritti?, facciamo tre?) conosce bene, e l'uscita di "The Spagetti Incident?" mi lascio' quasi del tutto indifferente... e d'altra parte esiste forse qualcuno in giro che lo tiene in gran conto?
Per finire la lite tra Axl e Slash con conseguente fine di cio' che ai miei occhi erano in Guns n' Roses fu la pietra tombale del mio primo amore.
Da allora non ho praticamente avuto la piu' pallida idea di cosa fosse stato di tutti loro.

Finche' un bel giorno vengo a sapere che Saul Hudson suonera' a cinque minuti a piedi da casa mia. Si', proprio lui, Slash lo zappatore, il motivo per cui ho iniziato a suonare la chitarra, passa per Hamilton Ontario con la sua band.
Lo so, sono decisamente fuori tempo massimo e stasera a Toronto c'e' Sun Kil Moon che per altro ha scritto un album che per ora mi sta abbastanza conquistando, ma Sun Kil Moon mi capitera' di nuovo, e se non ricapita lo faccio ricapitare io: Slash questa volta non posso perderlo.

Sono con un amico che di musica non conosce poi molto, ma almeno e' curioso. Gli racconto la storia, gli spiego perche' e' importante per me esserci e lui dice una cosa che mi colpisce: "if you really want something badly enough... well, you make it happening".
E certo non e' il concerto che sognavo da bambina, e certo sono fuori tempo massimo, ma e' vero: mi ci sono voluti piu' di vent'anni ma alla fine lo sto facendo accadere.

All'ingresso ci attendono i ragazzi della sicurezza dotati di metal detector: non resisto, li devo fotografare.
Appena dentro l'immancabile bar con birra, dolciumi vari e northamericanpizza: quella "cheese" (che vuole ricordare una margherita) e' ancora li' mentre quella "pepperoni" (che poi sarebbe salame piccante) e' andata.
O tempora, O mores.

I nostri posti sono in seconda balconata e saliamo molto piu' di quanto mi aspettassi ma niente poteva prepararmi allo spettacolo che mi sono trovata davanti; e' buio, buissimo, il palco e' illuminato e il gruppo spalla sta suonando. Sin qui niente di eccezionale, direte voi (ma voi chi?) solo che la balconata e' davvero ripida e non sono sicura di voler scendere quei gradini bui: non soffro di vertigini, ma provo uno strano fastidio all'idea di doverlo fare.
Ovviamente li scendo, del resto ne bastano solo tre per raggiungere la mia postazione e non mollarla piu' fino alla fine.

Il gruppo spalla e' imbarazzante: Slash e' perdonato per essere fuori tempo massimo ma i ventenni che propongono musica che era vecchia prima ancora che loro nascessero, vestiti in un modo che era vecchio prima dei Guns N' Roses, proprio non li capisco. Non si esce vivi dagli anni ottanta, neanche se si e' nati dopo il 1990.
Il mio compagno di avventure apprezza e io non ho davvero il coraggio di mettermi a fare l'intellettualoide europea anche stasera.

Finiscono, lasciano il posto ai roadies e le luci si accendono per permettere agli astanti di andarsi a prendere un'ultima birra prima dello show.

Poi il buio.

Parte una musichetta da circo e da dietro la batteria compare uno smiley dotato di cappello a cilindro e ghigno scheletrico: E' subito un boato.
Esce la band, esce Slash: cappello, bandana appesa al pantalone di pelle, occhiali da sole e riccioloni scuri, maglietta strappata a mostrare le spalle ricoperte da tatuaggi, fedelissima LesPaul imbraccio.
Ho davanti uno degli uomini che hanno dato un nuovo significato alla parola "coatto".
Sono passati ventotto anni da Appetite For Destruction e lui non ha cambiato una virgola: mette un filo di tristezza, ma poi attaccano a suonare e siamo tutti catapultati indietro.

In effetti nessuno comincia un concerto con una bomba a mano e in questo caso ad aprire le danze ci pensa un brano che non conosco, ma che e' sufficientemente potente per essere un ottimo inizio.
Poi arriva la bomba a mano, "Nightrain", ed e' un attimo: senza rendermene conto torno bambina delle elementari, e con me tutto il pubblico. Non sono i GNR, mancano tutti, manca Izzy, manca Duff, manca Axl, ma va bene cosi'.

E appunto, non sono i GNR, quindi seguono ancora un po' di brani che non conosco, poi il batterista attacca: turuttuttu-pa, turuttuttu-pa, turuttuttu-pa, turuttuttu-pa, turuttuttu-pa.... lunghissimo, senza fiato, abbiamo capito tutti cosa sta per succedere ma lui lo protrae, Slash lo protrae, vuole farci aspettare, vuole far salire il desiderio... turuttuttu-pa, turuttuttu-pa, turuttuttu-pa, turuttuttu-pa.... ed eccola la bomba a mano, "You could be mine": accidenti quant'era potente, da disco non si capiva, giuro!
E poi, cosi', arriva "Civil War", il primo brano che io abbia mai cantato in pubblico, alla tenera eta' di nove anni, in classe, davanti alla maestra e ai compagni, perche' facevamo questa cosa di preparare mensilmente a turno una piccola esibizione: "Civil War" e' stata la mia prima. Questa cosa mi emoziona e mi scappa una lacrimuccia (ma piccola) se penso a quella bambina che tremante era andata davanti alla cattedra con uno stereo da spalla e un microfono tremendo: ricordo perfettamente quanto ero rigida e intimidita, ricordo come tenevo la mano sinistra tesa dietro la schiena, stringendo il pugno per darmi coraggio. Non e' cambiato molto: tutte le volte in cui ho suonato in pubblico ho usato la chitarra a mo' di scudo. E' bello suonare in pubblico, e' spaventoso suonare in pubblico.
Ho realizzato in parte il sogno di quella bambina: sono seduta su una poltroncina di velluto e sto sentendo Slash suonare l'assolo di "Civil War".

Altri brani che non conosco e la differenza con i GNR si sente in modo drammatico: manca quella componente blues, quella magia della canzone in do maggiore dove a un certo punto scatta il re, manca un bassista degno di Duff (merce rarissima), manca un cantante con la presenza di Axl, anche se questo la voce ce l'ha e la imposta come Axl.

A riprova ulteriore (come se ce ne fosse bisogno) attaccano "Welcome to the Jungle" ed e' tutto un muoversi di teste, mani, piedi. Che brano incredibile...
Poi ancora, senza soluzione di continuita' "Rocket Queen", e in mezzo il Nostro ci mette un assolo di dieci minuti, forse piu'.
E' uno zappatore senz'appello.
Vorrebbe poter suonare note velocissime come tutti gli shredder dell'hard rock ma non puo', non e' il suo: il meglio lo da con il movimento morbido della mano destra, con il blues della sua LesPaul, col caos della coda che ha addirittura qualcosa di vagamente noise (forse solo perche' a far le note veloci si incasina, ma e' poi importante?).
E' rimasto uno zappatore, ma che meraviglia!

Ancora un altro paio di brani che non conosco e poi succede qualcosa che mi fa contravvenire ad ogni regola di buonsenso e civilta': precisamente succede questo.



E ci sono io, a nove anni (!), nel garage di mio "cugino" (non e' propriamente mio cugino, e' il figlio mio coetaneo di amici di famiglia, siamo cresciuti assieme, chiamiamo "zio e zia" i rispettivi genitori), lui suona la chitarra, altri due bambini sono uno alla batteria e l'altro al basso. Io non posso suonare perche' sono femmina (ah, il maschilismo becero dei bambini!) ma mi lasciano cantare, e "Sweet Child O' Mine" e' uno dei nostri cavalli di battaglia.
Ci voleva proprio.

Chiudono con un ultimo brano a me ignoto, il cantante presenta la band ed escono.
No, non si puo' finire cosi'.

Pausa.

Due ragazzi davanti a noi se ne vanno anche se non sono neanche state accese le luci: e' ovvio che c'e' un encore e trovo assurdo che non l'abbiano capito... sono strani questi canadesi...

Difatti torna, il buon Saul Hudson, torna con la LesPaul gia' imbraccio; quattro pennate come lasciate a caso, un accordo di sol tenuto li', poi un do lasciato a fermentare (gia' c'e' fermento, abbiamo tutti capito), poi in sequenza piu' rapida un fa, un altro do e un sol.
Delirio.
"Paradise City" e' una vera bomba atomica.
L'esplosione finale di coriandoli rossi ne e' testimone.

Alla fine, tra urla ed inchini, Slash lancia plettri alla folla: ne ha in quantita' industriali nelle tasche, tutti li' solo per essere lanciati. Siamo tutti in piedi, battiamo le mani e gridiamo.

Cammino verso casa con le orecchie che ancora fischiano.

martedì 15 settembre 2015

Gianni Maroccolo e Claudio Rocchi - VDB23 / Nulla e' andato perso [2015]

Una sterrata campagnola delimitata da imprecisati arbusti selvatici, un palo sghembo con un piccolo cartello "divieto di caccia" fa capolino sulla destra; al centro Rocchi e Maroccolo, in piedi uno accanto all'altro, guardano in macchina con un sorriso sghembo come se avessero il sole negli occhi: i colori sono ritoccati, troppo giallo sulla destra e troppo rosso sulla sinistra, ma dalle ombre si capisce che la foto e' stata scattata in prossimita' del tramonto. In alto a destra i nomi degli autori, appena sotto il titolo dell'album, entrambi in "papyrus" o qualcosa che gli somiglia moltissimo.

Play.

Un breve (?) preambolo.

A giudizio di chi scrive Gianni Maroccolo e' una sorta di Re Mida del panorama musicale italiano: tutto cio' che tocca, se gia' non lo e' di suo, si trasforma in oro. Stiamo parlando di uno splendido musicista, un raffinato arrangiatore, un attento produttore e piu' in generale un essere umano di notevole sensibilita', uno che quindi non puo' che circondarsi di musicisti (ed esseri umani) di par fatta.
Nel duemilaedodici viene assalito dalla sensazione di aver detto musicalmente tutto quello che aveva da dire, che la sua avventura nel mondo della "musica suonata" volge ormai al termine, che e' ora di mandare in pensione il basso e darsi alla produzione, sicche' lascia in rete una specie di messaggio di pre-addio e si mette al lavoro: il progetto si chiama VdB32, Via de' Bardi 32... da li' si e' cominciato e poesia vuole che li', in un certo senso, si debba finire.

Claudio Rocchi e' un altro gigante ma di provenienza totalmente diversa: ahime' le mie radici musicali provengono da tutt'altra direzione, quella maroccoliana per l'apppunto, e questo mi rende terribilmente ignorante in fatto di rock-psichedelico, troppo ignorante per poterne parlare con cognizione di causa. Chiedo perdono, so bene di dover rimediare.
Quel che so per certo pero' e' che era malato, Rocchi, irrimediabilmente malato, tanto da sapere di non avere molto davanti, anche se nel duemilaedodici non poteva quantificare il suo Tempo con certezza.

Poi capita qualcosa; cosa esattamente non lo so e capisco che non mi riguarda, ma questo qualcosa spinge Marock a inviare un po' di parti registrate all'amico Clarock il quale non la manda a dire: non accetta la rassegnazione dell'amico, cambia il 32 in un 23 (il numero della rinascita), trasforma le "Storie di un suonatore indipendente" in un sapienziale "Nulla e' andato perso" e somma la sua poesia e la sua voglia instancabile alle creazioni dell'amico, producendo cosi' la giusta sinergia positiva necessaria per dare vita a un vero e proprio capolavoro.
Si', mi sbilancio: si tratta di un capolavoro.

Nel 2013, poco dopo la scomparsa di Clarock, l'album e' stato reso disponibile ai pochi eletti raisers. Tutti gli altri, ad esempio quelli che come me all'epoca non erano abbastanza dentro le reti sociali da sapere dell'esistenza dei crowdfundings, non appena hanno saputo si sono mangiati le mani.
Poi col tempo (forse dopo aver metabolizzato la perdita dell'amico?) Marock ha deciso di farci un bellissimo regalo e rendere questo lavoro disponibile a tutti, anche a chi lo compra da piu' di 6000km di distanza e deve attendere una spedizione trans-oceanica per poterlo ascoltare.

Ma quale incredibile meraviglia!

La pesante inquietudine elettro-post-punk maroccoliana (gia' dal primo giro di basso si riconosce la sua inconfondibile firma) si amalgama perfettamente con le eleganti scelte di Rocchi e la sua poesia luminosa e toccante.
La parola "canzone" non si adatta ai brani che compongono quest'opera: sono lunghe suites dai suoni lunghi, lunghissimi, che partono dal rock incalzante e angoscioso della prima traccia e si sciolgono (con un processo lento ed impercettibile eppure inarrestabile) nel calmo sapore d'India della brevissima traccia finale, dove la voce narrante (dell'amico Peri in effetti) sembra addirittura sorridere di stupore emozionato, di quella gioia inafferrabile ben descritta dalla musica che l'accompagna.
Catarsi, potenza e dolcezza, oscurita' che si fa luce, la stanchezza dell'uno che, sedendo accanto alla serenita' zen incomprensibile dell'altro, subisce una metamorfosi: un insegnamento importante per quelli che rimangono all'ascolto col cuore aperto.
Maroccolo fino infondo, Rocchi fino in cima.
E gli amici, quelli veri, che vengono dichiaratamente ad abbracciare i due con le loro voci e i loro strumenti.

Continuo ad ascoltare quest'album senza posa: ho una lunga coda di dischi che mi attende eppure non riesco a staccarmi da questo.

Davvero?, davvero Claudio hai potuto scrivere quelle parole e cantarle senza scoppiare in lacrime?, dove mai si nascondeva la tua forza?, dove mai si nasconde la forza delle persone come te, come voi, meravigliosi esseri umani che con un incredibile sorriso e instancabile energia andate a testa alta incontro al Nero?, come riuscite a non lasciarvi abbattere?
Ma forse e' "solo" ironicamente logico che la reazione Umana (ma solo per gli Uomini con la "U" maiuscola) piu' profonda e naturale sia quella di darsi alla Vita in ogni sua piu' piccola sfaccettatura, tuffandosi a capofitto nelle proprie passioni o anche solo andando a vela una domenica pomeriggio di fine estate, o raccogliendo le mele dall'albero in giardino per farne della marmellata.

Capisco (...dio!) che lavorare accanto ad un Uomo e amico cosi' deve aver dato una spinta di Vita incredibile a Marock, che infatti sta tuffandosi di nuovo nella musica con piu' forza che mai.
Lo capisco, lo so.

E dunque eccoli qui i due amici, Rocchi e Maroccolo, Rigel e VDB23, l'esplosione dell'uno nella rinascita dell'altro, cio' che e' stato e cio' che rimane: "una storia che, infondo, e' appena cominciata".


Lista delle tracce:

VDB23
Torna con me
Nulla e' andato perso
Rinascere Hugs Suite
La Melodie de Terrence
Tutti gli Uomini - Tutte le Donne
LD7M (Les Dernierès 7 Minutes de mon Pere)
Una corsa
Rigel & VDB23